La storia del mondo e dell’Europa ha preso a correre più veloce del solito, i cittadini si interrogano sulla direzione che sta prendendo e la politica in affanno rincorre situazioni che non è stata in grado di prevenire. In questo contesto si moltiplicano i Vertici politici di diverso formato, in particolare in un’Europa non limitata ai confini dell’Unione Europea, che resta comunque al centro di tutta questa agitazione.
In attesa che si muovessero le Istituzioni UE si era mosso meritevolmente il presidente francese, Emmanuel Macron, portando attorno al tavolo i suoi colleghi dei principali Paesi europei, Regno unito compreso, e contribuendo a svegliare un’Unione tramortita dall’aggressione di Trump, che veniva ad aggiungersi a quella militare di Putin in Ucraina.
I primi risultati non si sono fatti attendere: il Consiglio straordinario europeo dei Capi di Stato e di governo dello scorso 6 marzo a Bruxelles ha affrontato il tema della sicurezza trovando un’intesa politica all’unanimità sull’avvio di una politica comune della difesa e confermando, con il solo voto contrario dell’Ungheria, il sostegno all’Ucraina pesantemente bersaglio dell’attacco russo.
I primi orientamenti adottati dal Consiglio europeo, sulla base della proposta della Commissione europea di Ursula von der Leyen, non hanno mancato di sollevare giustificate perplessità, a partire dalla centralità data alla parola “riarmo”, in assenza di una politica comune estera e di difesa e con misure d’urgenza non sottoposte al controllo parlamentare.
Sul tema non è consentito sorvolare, con la scusa che nell’urgenza “la gatta frettolosa fa i gattini ciechi”, anche perché è proprio questo il momento i cui avere una visione chiara delle forze e degli interessi enormi in gioco per l’Unione Europea, che non deve affidare alle armi il suo sviluppo né sacrificare i suoi valori fondativi e il suo welfare, già a rischio sostenibilità.
Rassicura che siamo solo all’apertura del cantiere di una difesa europea condivisa con chi ci sta: è politicamente plurale la squadra che dovrà dirigere i lavori e sono molti gli strumenti di cui dispone l’Unione Europea per rispondere alle straordinarie sfide del momento, ancora in assenza di una nuova architettura istituzionale adeguata.
Questo nuovo cantiere deve essere sottoposto al controllo democratico parlamentare ed evitare di replicare in Europa “ordini esecutivi” alla Trump che minacciano, insieme al mondo, anche la sopravvivenza della democrazia, a cominciare dagli Stati Uniti.
E’ il momento di rispondere alle raffiche quotidiane delle aggressioni di Trump, destinate a destabilizzare costantemente i suoi interlocutori, con una profonda e realistica rivisitazione del progetto europeo nel quadro di un mondo non più unipolare, dove gli USA sono solo uno degli attori in campo e dove l’Unione non è sola, anche perché ad essa guardano con speranza molti, anche al di fuori dei suoi confini.
Intanto il cantiere europeo sta lavorando: lunedì scorso si sono incontrati i ministri delle finanze UE per confrontarsi sulle risorse da reperire in tempi brevi e, si spera, con strumenti comunitari e non a spese delle politiche sociali; martedì si sono riuniti a Parigi i Capi di degli stati maggiori dei Paesi coinvolti nella “coalizione dei volenterosi” a sostegno dell’Ucraina (particolarmente importante la presenza anche di rappresentanti turchi); mercoledì è stata la volta dei i ministri della Difesa di Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Polonia in vista di un nuovo Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo del 21-22 marzo, quando bisognerà rispondere alle perplessità sollevate dal precedente Consiglio europeo straordinario del 6 marzo e tradurre in più articolati strumenti legislativi gli orientamenti politici adottati.
C’è ancora tempo per rimediare a qualche errore prodotto nell’urgenza e dotare la protezione dell’UE con azioni di deterrenza, a futura difesa dell’Unione, ricorrendo a misure proporzionate e rispettose delle nostre pur faticose procedure democratiche.