Unione Europea, un bilancio 2023 con luci e ombre

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Si chiude un anno difficile per l’Unione Europea, con un bilancio tornato in positivo proprio negli ultimi giorni dell’anno per le intese finalmente raggiunte, anche se non tutte della qualità sperata.

Su questa traiettoria hanno pesato le consultazioni elettorali in Paesi UE importati, annunciando quanto peseranno nei mesi che verranno le elezioni per il Parlamento europeo del prossimo giugno.

Importante è stato a luglio in Spagna il voto che ha consentito al socialista Pedro Sanchez di mantenersi al potere dopo aver arginato le destre, in particolare quella estrema di Vox, alleata nel Parlamento europeo con Fratelli d’Italia. Il risultato ha anche consentito alla Spagna di guidare efficacemente il suo semestre di presidenza europea, dando un contributo significativo ai passi in avanti dell’Unione.

A ottobre, la consultazione elettorale più attesa nell’UE era quella in Polonia, dove le forze europeiste hanno prevalso su quelle conservatrici e euro-scettiche al governo da otto anni, portando alla guida del governo Donald Tusk, che già era stato presidente del Consiglio europeo, e rompendo l’alleanza della Polonia con l’Ungheria, adesso maggiormente esposta alle attese sanzioni da parte di Bruxelles.

A novembre è stato il turno dell’Olanda, un Paese fondatore UE, uscito dalle urne con la clamorosa vittoria dell’estrema destra di Geert Wilders, schierata da sempre contro l’Unione Europea e le sue aperture, pur modeste, sui migranti.

Si è trattato di esiti elettorali che hanno complessivamente confortato l’UE nelle sue politiche, ma anche mettendola in guardia sul rischio di accelerazioni nel processo di integrazione. Questo non ha impedito all’UE di far valere le sue posizioni nella COP 28, il Vertice ONU di Dubai sul clima, con il risultato di un accordo a livello mondiale sul progressivo abbandono delle energie fossili. 

Non sono stati una passeggiata i due negoziati di fine anno sul “Patto di stabilità” e sul “Piano migrazione e asilo”, conclusisi in extremis: nel primo caso con un accordo complesso sul governo delle finanze pubbliche e ridotti margini di flessibilità, contrariamente a quanto richiesto dall’Italia che non ha potuto che accodarsi a una precedente intesa tra Germania e Francia. Più vicino alle richieste dell’Italia l’accordo sui migranti con l’introduzione di una “solidarietà obbligatoria” tra i Paesi UE per far fronte ai costi di una “accoglienza obbligata”, ma senza una riforma sostanziale dell’Accordo di Dublino e con un indebolimento dei diritti da garantire ai migranti.

In questo contesto va segnalata la mancata ratifica italiana del “Meccanismo europeo di stabilità” (MES), una decisione a sorpresa che potrebbe mettere a rischio i risparmiatori italiani e che ridurrà ulteriormente la credibilità dell’Italia nel concerto europeo, con possibili amare conseguenze nei giorni difficili che verranno.

Sul versante esterno delle politiche UE, due erano i fronti caldi da affrontare: quello della guerra che si trascina da quasi due anni nell’Ucraina e il conflitto israelo-palestinese esploso il 7 ottobre scorso. Nel caso dell’Ucraina, seppure con qualche stanchezza, l’Unione Europea ha mantenuto il suo sostegno al Paese invaso dalla Russia, aprendole le porte per una futura adesione, e questo mentre si assiste a un rischio di raffreddamento del contributo degli Stati Uniti alle prese con la difficile vigilia delle elezioni presidenziali del novembre 2024, dove incombe minaccioso il possibile ritorno di Donald Trump. 

Meno apprezzabile la risposta dell’UE al conflitto mediorientale, prima segnata da reazioni poco equilibrate e poi incapace di trovare una posizione comune, come registrato nel Consiglio europeo di dicembre.

Come dire che, tutto sommato, in questo drammatico 2023 poteva andare peggio ma anche che, se nel 2024 non andrà meglio, l’Unione Europea rischierà un declino di cui non abbiamo davvero  bisogno.

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