Unione Europea alle prese con venti di guerra

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Nella storia dell’Europa il secolo scorso alimentò molte speranze la “Repubblica di Weimar”, un modello di democrazia parlamentare che purtroppo non ebbe lunga vita: nata all’indomani della Prima guerra mondiale nel 1919 si spense nel 1933 con l’avvento al potere di Hitler.

La settimana scorsa la memoria di Weimar è stata richiamata a dare una speranza all’Europa in occasione di un Vertice a tre a Berlino con Germania, Francia e Polonia, riunite nel “Triangolo di Weimar”, creato nel 1991 nell’omonima città tedesca per rafforzare la cooperazione dei tre Paesi in momenti di crisi e oggi alle prese con venti di guerra.

Questa volta non si trattava di una crisi solo economica, il tema sul tavolo era la risposta da dare all’aggressione russa dell’Ucraina, un guerra che dura da oltre due anni in un crescendo di distruzioni da parte della Russia di Putin che, in occasione delle elezioni presidenziali, non ha esitato a rilanciare la minaccia dell’arma nucleare.

Non che il tema non sia argomento di confronto costante dei Ventisette Paesi UE nel quadro dell’Alleanza atlantica (NATO), ma quel “triangolo dai lati diseguali” merita di essere portato sotto i riflettori, anche perché non a tutti quell’incontro è stato apprezzato nell’UE, come nel caso del ministro italiano della difesa.

Attorno al tavolo tre diverse storie e percezioni della guerra in corso e, soprattutto, tre diversi orientamenti nella ricerca di una risposta. 

La Polonia, prima di tutto, Paese ritornato “europeista” dalle elezioni dello scorso ottobre, ma da sempre geograficamente troppo vicina alla Russia, prima quella degli zar, poi assorbita nell’Unione sovietica e oggi, di nuovo ai ferri corti, con la Federazione russa di Putin che non si rassegna ad averla persa. 

Subito dopo la Germania, un Paese oggi una “potenza civile” ma che, ancora nel secolo scorso, si è misurata con la potenza militare del vicino, con il quale ha poi intessuto in anni più recenti vantaggiosi rapporti commerciali che vorrebbe un giorno ritrovare. 

E infine, la Francia, un Paese di ambizioni politiche oggi sproporzionate rispetto alla sua forza reale ma detentrice, sola nell’UE, dell’arma nucleare e di un seggio nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e orientata a promuovere ruoli più incisivi nel conflitto in corso.

Da questi profili derivano anche divergenze strategiche sulla risposta da dare alla Russia: la Polonia alla ricerca di protezione e rassicurazioni, cercandole prima di tutto nella NATO e nell’allegato USA; la Germania, prudente con la Russia e al riparo nell’Alleanza atlantica verso la quale mostra molta vicinanza, come già avviene con la solidarietà all’Ucraina; la Francia, con un Presidente in difficoltà all’interno del suo Paese ma orientato verso una risposta più dura alla Russia, fino ad evocare la possibilità di truppe occidentali impegnate in territorio ucraino.

Un “triangolo” così diseguale difficilmente poteva produrre strategie convintamente condivise, al massimo accordi tattici per rafforzare i livelli di protezione dell’UE, sbloccando gli acquisti di armi anche fuori del perimetro europeo e alzare il livello di allerta rispetto alle minacce russe, ma senza entrare nella logica di una guerra dell’Unione Europea alla Russia. 

Ad incoraggiare queste modeste conclusioni è stato anche il ruolo del Premier polacco, Donald Tusk, forte del suo passato di Presidente del Consiglio europeo, ma anche garante della sicurezza dei confini polacchi.

Funziona – o non funziona – anche così questa Unione Europea a “geometria variabile”: oggi a tre, ieri a due, quando girava il “motore franco tedesco”, con l’Italia sui bordi interprete di una politica estera più atlantica che europea, più ossessionata dalla difesa delle frontiere di fronte alla presunta “invasione dei migranti” che non attiva a promuovere iniziative di pace fuori dai suoi angusti confini.

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