Turchia, l’arma dei profughi

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Non era la prima volta che Erdogan brandiva la minaccia di aprire le sue frontiere e “lanciare” verso l’Europa i profughi che avevano cercato rifugio in Turchia. Da alcuni giorni a questa parte, Erdogan ha superato il limite della minaccia e ha dato concretamente il via libera ai migranti in fuga, spingendoli verso la frontiera greca dell’Unione. 

Abbiamo così potuto assistere a scene insostenibili, dove migliaia di persone, in particolare donne e bambini, venivano brutalmente fermati e respinti, persone travolte da una guerra che si concentra ormai, con violenza inaudita, in quell’ultimo pezzo di terra da conquistare intorno ad Idlib, zona strategica per il regime di Assad, fedelmente sostenuto dalla Russia, ma anche zona irrinunciabile per Erdogan, impegnato a sostegno delle  forze ribelli e di opposizione. 

Le ragioni per cui Erdogan sta usando l’arma dei profughi, puntandola con ricatto sull’Europa, rivelano tutta la complessità di una situazione che si gioca ormai al di là della sola guerra in Siria e chiama in causa gli interessi strategici e divergenti dei vari attori, in primis appunto la Turchia, la Russia e, in ultima analisi, l’Unione Europea, fino ad oggi assente o ai margini di questo allucinante teatro di guerra. 

Sebbene la Turchia abbia sviluppato in questi ultimi tempi una strategia di avvicinamento alla Russia, tanto da creare inquietudine a livello della NATO, di cui la Turchia è membro di importanza strategica, l’uccisione di 34 militari turchi da parte dell’aviazione di Assad e della Russia a Idlib, ha rimesso in primo piano l’ambiguità e le difficoltà del rapporto turco-russo  e il progressivo isolamento della Turchia da parte della comunità internazionale.

E’ in questo intricato contesto militare sul versante esterno, abbinato ad obiettive difficoltà economiche interne e alle difficoltà a gestire circa quattro milioni di profughi provenienti non solo dalla Siria, che il Presidente Erdogan ha deciso di attaccare su due fronti : intensificare, da una parte, l’intervento militare in Siria contro Assad  attraverso la nuova operazione “Scudo di primavera”, con tutto quello che ciò’ comporta in termini di egemonia e di confronto con la Russia, non solo in Siria ma nell’intera regione (non vanno dimenticate infatti le opposte posizioni dei due Paesi in Libia) e dall’altra, aprire le frontiere della Turchia con l’Europa ai vecchi e nuovi rifugiati di questa interminabile guerra. 

Un gesto quest’ultimo molto forte e che manda, a sua volta, due segnali : il primo è quello di alzare il prezzo dell’accordo sul contenimento dei migranti firmato nel 2016 con l’Unione Europea, dimostrando, nello stesso tempo, con un cinismo senza limiti, le potenzialità distruttrici dell’arma dei migranti nei confronti di un’Unione alquanto sensibile e politicamente fragile al riguardo. Il secondo segnale, legato alla determinazione militare che Erdogan sta dimostrando in questo momento e alla delicata situazione che si sta delineando con la Russia, è quello di forzare il sostegno dell’Europa per un ricupero di ruolo e credibilità della Turchia all’interno della NATO. 

Cosa non da poco, che mette brutalmente Bruxelles al centro della crisi e del conflitto in Siria e che si abbatte su un’Unione Europea già fragilizzata dal Brexit e da un recente Coronavirus che la spinge a cercare l’incerto punto di equilibrio fra una crescita economica già compromessa e la protezione della salute dei suoi cittadini.

 La drammatica situazione alla frontiera greca ha spinto nel frattempo i Presidenti della Commissione, del Consiglio e del Parlamento europeo a recarsi sul posto e a tentare un difficile dialogo con il Presidente turco. Non sarà facile negoziare né individuare gli strumenti più adatti per affrontare questa crisi ma è già chiaro che questa è una sfida di enormi proporzioni che non mancherà di lacerare politicamente l’Europa, in un momento in cui  sta cercando di individuare le strade per delineare il suo futuro.

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