Tunisia nella tormenta

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Sono trascorsi due anni dall’inizio delle Primavere arabe e le transizioni verso nuovi traguardi politici si rivelano difficili e, sotto certi aspetti, inquietanti. Segnali in questo senso provengono in questi giorni dalla Tunisia, il Paese che per primo è sceso in piazza per rivendicare un futuro politico, economico e sociale diverso da quello che il regime di Ben Ali lasciava, senza dubbi, presagire.
L’assassinio, non rivendicato, del leader del Partito dei patrioti democratici d’opposizione , Chokri Belaid ha sconvolto il Paese, gettando ombre scure sul Governo e gravi incertezze su quegli obiettivi di libertà, di diritti e di migliori condizioni di vita, che la rivoluzione aveva messo in primo piano.
La vittoria del partito Ennhada, alle prime elezioni libere dell’ottobre 2011, aveva messo in evidenza, al di là delle manifestazioni nelle piazze, quanto presenti e quanto avevano pesato sulla maggioranza silenziosa della popolazione, le forze islamiche presenti nel Paese, da anni costrette alla clandestinità. Ennhada, con 89 seggi su 217 all’Assemblea costituente e al Governo con una coalizione anche con forze laiche, è oggi di fronte ad una forte ed emblematica spaccatura, fra moderati, nella persona del Primo Ministro Hamadi Jebali, e forze islamiche radicali e conservatrici , che hanno tenuto il partito sotto pressione, condannato il Governo ad un certo immobilismo e bloccato su certi aspetti la redazione della Costituzione.
L’assassinio di Belaid, oltre ad essere un crimine contro l’opposizione che, in un momento così tragico ha cercato di riavvicinare le sue varie anime, ha messo in luce questa profonda spaccatura portando non solo il partito, ma il Paese stesso, sull’orlo dell’implosione. Una situazione così grave da portare il Primo Ministro Jebali a dichiarare di voler costituire un nuovo Governo tecnico, di competenze nazionali, nell’attesa di nuove elezioni.
Una dichiarazione che ha incontrato una forte opposizione all’interno di Ennhada e un certo disorientamento fra le componenti laiche del Governo, sollevando nel contempo non pochi interrogativi. In primo luogo, in mancanza di una Costituzione, non esistono basi giuridiche su cui fondare una tale decisione, con tutto ciò che questo comporta e, in seguito, pone il quesito di sapere se in questa situazione di gravi difficoltà in cui si trova, Ennhada sia in grado di organizzare nuove elezioni e di accettare un risultato diverso e di alternanza. Un quesito importante, che racchiude in sé tutte le sfide della rivoluzione, compresa quella del consolidamento, oggi, delle forze islamiste più radicali, che tutto vorrebbero, tranne nuove elezioni. Nel frattempo la Tunisia vive su un pericoloso crinale nell’attesa di una risposta politica.
La posta in gioco è quindi molto alta, soprattutto se si considera, oltre all’incertezza politica, il degrado della situazione economica e sociale, l’aumento della disoccupazione, e soprattutto ora, con l’assassinio di Belaid, la violenza politica e le minacce all’opposizione. Un brutto momento, in cui si gioca il futuro di quella Primavera nella quale, tanti, nelle strade di Tunisi, vogliono ancora credere.

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