Tra guerre in Medio Oriente e Conferenza di Bruxelles sull’Afghanistan

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Desidererei tanto bere un tè caldo….Sono le parole pronunciate da un giovane curdo peshmerga durante una pausa nella battaglia appena lanciata dall’esercito iracheno per la riconquista di Mosul, città strategica nelle mani del sedicente Stato islamico dal 2014. Mosul è uno dei tanti teatri di guerra in corso in Medio Oriente, dove, accanto all’obiettivo di sconfiggere Daesh, si giocano altre e altrettanto pericolose sfide, a partire da quelle che si affrontano a livello internazionale a quelle per l’egemonia regionale o a quelle che corrono sul filo del confronto civile, etnico e religioso, senza dimenticare quelle di carattere più puramente economico e geostrategico. Mosul non fa eccezione, se si pensa, ad esempio, alle frizioni che sta generando, in particolare, fra Iraq e Turchia. Dall’Iraq alla Siria, dallo Yemen alla Libia, sono tante quindi le guerre e le battaglie che si incrociano con insistenza e senza tregua e per le quali, oggi come oggi non ci sono spiragli di pace e tantomeno piani e prospettive per la ricostruzione di un futuro sostenibile.

Più ad est, ai confini con l’Iran e con il Pakistan, ritorna invece con particolare interesse sotto i riflettori l’Afghanistan, un altro Paese tristemente noto per la sua lunghissima storia di guerre, di conflitti interni, di distruzioni, di stragi e violenze perpetrate dai talebani e dal loro fanatismo religioso. Oggi il Governo dell’Afghanistan tenta, fra comprensibili e numerose difficoltà politiche, di avviare negoziati di pace con i talebani, nella prospettiva di riportare stabilità e benessere ad una popolazione martoriata già da troppo tempo.

Ed è in questa prospettiva che si è tenuta a Bruxelles il 4 e il 5 ottobre scorso una Conferenza che ha visto la partecipazione di 75 Paesi nonché di varie organizzazioni e agenzie internazionali, fra cui l’ONU e la NATO. Sostenuta in particolare dall’Unione Europea, la Conferenza ha ribadito la sua solidarietà e il suo sostegno per rafforzare la stabilità politica, lo sviluppo economico e il dialogo di riconciliazione del Paese, un dialogo che includa anche i talebani.

Il Presidente afghano Ashraf Ghani, in carica dal settembre 2014, ha presentato alla Conferenza il suo programma di riforme per i prossimi quattro anni. Ghani ha ereditato la gestione di un Paese a dir poco debole e instabile e il cui processo di pace, di stabilità e di democratizzazione si presenta lungo, tortuoso e pieno di ostacoli. L’Afghanistan infatti, dopo tredici anni di presenza della NATO, che ha lasciato il Paese a fine 2014, si è ritrovato a dover fronteggiare sfide politiche e di sicurezza enormi, in un contesto storico in cui gli affari di Stato, alla fine, si regolavano spesso attraverso le armi e le conseguenti guerre civili.

Le sfide sono quindi enormi. Gli obiettivi enunciati dalla Conferenza si concentrano in particolare sul consolidamento delle nascenti istituzioni democratiche, sulla ricerca della pace, sulla promozione dello stato di diritto e sulla protezione dei diritti umani, sul sostegno ad una solida crescita economica , sulla lotta alla corruzione e sulla riduzione della povertà. I Paesi partecipanti alla Conferenza hanno anche tradotto questi obiettivi in impegno finanziario: 13,6 miliardi di Euro per il periodo 2017-2020. L’Unione Europea sarà il primo donatore con 5 miliardi di Euro.

L’Afghanistan presenta tuttavia molte sfide anche per l’Europa, a cominciare dal numero di rifugiati che fuggono dal Paese per raggiungere le nostre coste. Le stime del 2015 ci dicono infatti che il numero di cittadini afghani richiedenti asilo in Europa è stato di circa 178.000, il doppio del 2014.

E qui è importante segnalare, con i dovuti interrogativi che suscita, l’accordo siglato due giorni prima della Conferenza fra l’Unione Europea e l’Afghanistan: un accordo che prevede la disponibilità di Kabul ad accettare rimpatri forzati, nonostante la precarietà e la pericolosità della situazione nel Paese, soprattutto in termini di sicurezza e ancora oggi in continuo peggioramento. Un aiuto quindi all’Afghanistan in cambio di pericolose espulsioni che mettono in pericolo la vita delle persone e minacciano il diritto di asilo ?

Vale tuttavia la pena ricordare qui le parole usate dall’Alto Rappresentante per la politica estera Federica Mogherini a conclusione della Conferenza, parole che purtroppo hanno acquistato un sapore amaro:”(…) Investire nel popolo afghano significa anche investire nella stabilità internazionale e nel nostro presente e futuro (…)”.

Si, ma a quale prezzo umano, Signora Mogherini ?

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