Speranze di pace in un mondo in pericolo

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Vent’anni fa sembrarono soffiare forti nel mondo i venti di pace. Ma fu una stagione che durಠnemmeno un anno: a novembre 1989 veniva abbattuto il muro di Berlino e la «guerra fredda» sembrava avviata a diventare un ricordo, ma già   nell’agosto del 1990 scoppiava la prima guerra del Golfo e cominciava il conflitto senza fine in Iraq mentre nel 1992 tornavano ad incendiarsi i Balcani, appena raffreddati dalla fragile pace di Dayton nel 1995. Tra alterne vicende proseguiva la guerra in Afghanistan e non si spegnevano i numerosi conflitti locali nel resto del mondo, mandando così in fumo quei «dividendi della pace» che molti si aspettavano di incassare dalla fine della guerra fredda.
Poi venne il 2001 con la tragedia delle Torri gemelle a New York, la sciagurata invasione dell’Iraq da parte di Bush, Blair e C., la recrudescenza del conflitto afghano e l’inasprimento di quello israelo-palestinese. La speranza sembrಠtornare con la sorprendente vittoria di Obama alla presidenza USA, le sue aperture verso il mondo islamico e l’opzione zero per gli armamenti nucleari: intenzioni che meritarono ad Obama un precoce Nobel per la pace. Ma seguirono subito episodi di segno contrario: l’intensificazione della presenza militare in Afghanistan con gli altri Paesi NATO docilmente al seguito e lo scarso, se non nullo, impatto della nuova Amministrazione USA per raffreddare il conflitto israelo-palestinese.
Adesso qualcosa si è rimesso in movimento e nuove brezze di pace sembrano tornare a spirare sul mondo, ancora una volta con Obama protagonista, alle prese con una serie di interventi che meritano attenzione, in particolare per quanto riguarda il futuro degli arsenali nucleari e il loro eventuale uso.
Un primo segnale importante si è manifestato il 6 aprile davanti al Congresso USA a proposito della dottrina per l’uso delle armi nucleari: Obama ha cominciato a lasciarsi alle spalle la dottrina Bush sulla «guerra preventiva» e si è impegnato a non usare l’atomica contro i Paesi che non la possiedono e che rispettano il Trattato di non proliferazione nucleare. Siamo ancora lontani dall’opzione zero ma è almeno un primo passo concreto.
Due giorni dopo, giovedì 8 aprile, Obama è volato a Praga per firmare con il presidente russo Medvedev (insieme detengono il 90% degli arsenali nucleari mondiali) il nuovo Trattato Start 2 che prevede una riduzione del 25% delle armi nucleari strategiche, mantenendo tuttavia ancora un potenziale di distruzione sufficiente a far saltare per aria il mondo nel quale le testate nucleari sono circa 230.000. Anche questo è un passo importante, che Obama dovrà   fare digerire dal Senato a Washington dove, la settimana prossima, è convocato un Vertice mondiale sulla sicurezza nucleare al quale parteciperà   il presidente cinese, Hu Jintao.
Un’agenda densa di confronti che proseguiranno a maggio con un Vertice ONU dove verranno sul tavolo le spinose questioni sul pericolo nucleare dell’Iran e della Corea del Nord, che gli USA continuano a tenere sotto pressione cercando di assicurarsi l’appoggio anche della Cina.
Quale il ruolo dell’Europa e dell’Italia in questi confronti? Molto vicino allo zero: l’Europa perchà© non ha una politica comune della difesa, con nel suo seno due modeste (im)potenze nucleari – Regno Unito e Francia – e con la prospettiva di un indebolimento dell’asse transatlantico; e l’Italia che finora tace, nonostante ospiti un numero cospicuo di armi nucleari americane nelle due basi di Aviano e Ghedi Torre. Per l’eliminazione delle armi nucleari tattiche in Europa si sono fatti sentire la Germania, il Belgio, l’Olanda e la Norvegia, dove anche le opinioni pubbliche locali si mostrano più sensibili. In Italia il tema non sembra essere all’ordine del giorno.
Forse sarebbe il momento di dare fiato anche nel nostro Paese alla speranza che sembra tornare, seppure ancora timida, in altre parti del mondo. Se non lo fa la nostra politica in altre faccende affaccendata, sarebbe bene ci pensasse la società   civile su questi temi particolarmente sensibile e ancora capace di mobilitarsi.
Ne va del nostro futuro, in un’Italia sempre più ripiegata sul passato e su visioni localiste che stentano a mettere all’ordine del giorno il nostro stare al mondo e le responsabilità   planetarie che pure, anche se in misura modesta, ci competono.
La pace è un bene troppo prezioso e mai acquisito per sempre, come bene sa questa Europa risorta dalle macerie di due terribili guerre mondiali nel secolo scorso e come non dovrebbe dimenticare questa Italia, litigiosa dentro e a rischio appena fuori dai suoi confini, dove sono ancora vivi pericolosi focolai di guerra.

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