Se l’Unione Europea scendesse in campo con una sola bandiera

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Tra polemiche ed emozioni ci siamo lasciati alle spalle anche queste Olimpiadi, Parigi è tornata alla sua vita normale, anche se non proprio tranquilla, come tanto tranquilla non si annuncia la politica francese alle prese con la difficile formazione di un nuovo governo dopo le elezioni di inizio luglio.

A Parigi abbiamo visto sfilare molte bandiere, ne mancava una: quella dell’Unione Europea e non era un’assenza banale. 

Per un verso raccontava di una vecchia Europa di “Stati-nazioni” gelosi delle loro identità, per un altro registrava un forte rischio di irrilevanza di questa Unione a Ventisette che nel mondo conta sempre di meno, come dimostrano le guerre in corso ai suoi confini.

Questo non ha impedito ai più ottimisti di riformulare la contabilità delle medaglie assegnate e scoprire che se il Ventisette dell’Unione Europea avessero gareggiato insieme, con un’unica bandiera, l’Unione sarebbe arrivata prima di tutti, Stati Uniti e Cina compresa. Appunto, se avessero gareggiato insieme…

Esiste da sempre, in questa straordinaria avventura della riunificazione continentale che molta strada ha già fatto, un nodo irrisolto: quello di coniugare cooperazione e competizione, la prima da realizzare tra partner e la seconda da esercitare con Paesi concorrenti, siano essi alleati o avversari.

Sarebbe solo buon senso puntare a cooperare di più per poter meglio competere: vale per la messa in comune delle molte risorse finanziarie disponibili come per i vantaggi di un’economia di scala; vale anche, in questi tempi drammatici, per contenere la spesa militare senza mettere a rischio la nostra sicurezza comune e un welfare faticosamente conquistato e per attivare insieme le nostre capacità diplomatiche invece di muoversi ognuno per conto proprio, se non addirittura gli uni contro gli altri.

Perché l’Unione Europea possa scendere in campo e gareggiare almeno alla pari con gli altri concorrenti è necessario costruire con pazienza una squadra, come quella della nazionale italiana di pallavolo, che non si faccia deprimere dalle sconfitte subite e metta a frutto le molte identità di cui dispone, non importa il colore della pelle, anzi meglio ancora se i colori sono diversi. E’ così che le ragazze della pallavolo hanno sconfitto 3 a 0 anche la squadra degli Stati Uniti, una vittoria che potrebbe essere di buon augurio non solo per l’Italia ma anche per l’UE.

Naturalmente a patto che non prevalgano quanti idolatrano l’identità nazionale e nemmeno quanti continuano ad accanirsi a non riconoscere la cittadinanza nazionale – e a questa indissolubilmente legata anche la cittadinanza europea – a quanti vivono con noi aiutando molti di noi a vivere, naturalmente a condizione che con noi condividano diritti e doveri, in una dinamica di reciproca integrazione, frutto di un incontro di culture. 

Non proprio una novità in questo nostro continente formatosi nei secoli grazie a continui scambi e flussi migratori: c’è anche questa ibridazione all’origine delle grandi potenzialità dell’Unione Europea, questo “piccolo promontorio dell’Asia” che ha saputo far convivere identità plurali, a partire dai suoi luoghi fondatori, Atene, Gerusalemme e Roma, confrontandosi con gli stimoli dell’Islam e accogliendo le novità del movimento illuminista attivo sulle due sponde della Manica.

Si dirà che amalgamare tutti questi diversi ingredienti non è impresa facile, ma già è stato in gran parte possibile e l’Europa ha sufficiente esperienza e cultura per proseguire in un’impresa che dev’essere un’avventura corale, in grado di coinvolgere i cittadini grazie alla riscoperta delle virtù della democrazia, un bene prezioso che dobbiamo difendere e rafforzare.

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