Se l’Europa riparte

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Con la decisione del Consiglio direttivo della Banca Centrale Europea (BCE), l’UE non solo ha tirato un sospiro di sollievo e con essa i Paesi sotto la pressione dello “spread”, ma ha anche ripreso fiato in vista cammino verso la ricostruzione dell’Europa, a cominciare dall’eurozona minacciata dalla crisi dell’euro e dal corto circuito tra i dissesti delle banche e il debito sovrano di alcuni suoi Stati.

Per il Presidente Mario Draghi non è stata un’impresa facile né il frutto di un colpo di mano, meno ancora di un “colpo di stato” a spese degli irriducibili della Bundesbank (Buba): è stato il risultato di una lunga preparazione che non solo ha coinvolto pazientemente gli altri banchieri centrali, che hanno isolato il Presidente della Buba, ma anche la maturazione di un consenso politico ottenuto anche dalla Merkel, oltre che dagli altri “Paesi del rigore”, come Finlandia e Olanda, politicamente vicini alla Germania.

L’esito nell’immediato è stato quello di raffreddare la speculazione finanziaria e la risalita delle Borse, più importante l’aver smosso politicamente l’UE, spingendola verso nuovi traguardi che l’avviino prima all’unione bancaria, poi a quella economica per approdare infine a quell’unione politica che l’Europa cerca da oltre sessant’anni, dopo averla mancata nel 1954 con il fallimento della Comunità Europea della Difesa (CED) e sfiorata con il Trattato di Maastricht all’indomani del crollo del Muro di Berlino, dell’unificazione tedesca e della dissoluzione dell’URSS a cavallo degli anni ’90.

Adesso sono in molti a sperare che la crisi, e il brivido corso in questi ultimi tempi, possa fare da levatrice a una nuova Europa, più coesa e più solidale. Per arrivarci la strada è tutta in salita e la decisione della BCE ne è stata un contributo necessario, ma certo non sufficiente. La sentenza favorevole al Fondo salva-Stati della Corte costituzionale tedesca sul futuro del Fondo salva-Stati, non renderà meno incerto l’avvio dell’unione bancaria, con una vigilanza centrale affidata alla BCE, ma che la Germania vuole limitata alle grandi banche, evitandone il controllo al suo importante tessuto di Casse regionali. Tocca alla Commissione Europea presentare una proposta che si spera per una volta non al ribasso, anche per non fare ripartire il processo di integrazione con il passo sbagliato. Poi sarà la volta dell’unione economica rimasta in gran parte “nella penna” nella redazione del Trattato di Maastricht, dove l’UEM (Unione Economica e Monetaria) non ha visto sviluppare la “E”, lasciando sola la moneta a governare, con gli esiti che conosciamo.

Un’assenza che stiamo pagando sul versante della crescita e che richiede adesso, a partire dai prossimi Vertici europei di ottobre e dicembre, l’implementazione di un’unione politica che accompagni le politiche di rigore con stimoli coordinati all’economia e alla creazione di lavoro e la salvaguardia del welfare, anche con l’obiettivo di ricreare un difficile consenso attorno al progetto di integrazione europea. Sulla consistenza oggi di questo consenso c’è da preoccuparsi: ne sono consapevoli Giorgio Napolitano e Mario Monti che invocano più Europa nei governi e nei partiti nazionali e contano soprattutto sui giovani per ricostruire una nuova Unione Europea. Ma per riuscirci bisogna affrontare con decisione l’ondata di populismi diffusi in Europa – ne è un esempio la vicenda elettorale olandese – e la proposta di Monti di un Vertice UE straordinario sul tema tradisce un giustificato allarme più che rappresentare una scelta adeguata, come anche l’ipotesi di un referendum europeo perlomeno prematuro.

E ai giovani non basta gridare “Europa, Europa”, se poi non la vedono nella rigenerazione della politica, nella creazione di lavoro e nella difesa dei diritti e se, tanto per cominciare, non gliela si racconta nelle scuole, dotandoli di una memoria di cui sono sprovvisti e non per colpa loro.

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