Sale la temperatura nel Mediterraneo

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L’estate è ormai alle spalle e arrivano le prime frescure dell’autunno. Questo dice il meteo, ma non la politica, nà© in Italia nà© in quello che era il «suo» mare, il Mediterraneo sulle cui sponde la temperatura dei conflitti, potenziali o in corso, sembra invece continuare a salire.
Percorriamole rapidamente queste sponde, dalla Tunisia da dove è partita la «primavera araba» e dove presto ci saranno elezioni che dovrebbero dare un volto democratico al Paese ma dove ancora grande è la confusione – ne sono un indizio i persistenti flussi di migranti – e incerto l’esito elettorale.
Più confusa la situazione in Libia dove il regime di Muammar Gheddafi sembra da un pezzo alla fine anche se la propaganda dei ribelli non è sempre credibile e ancor meno credibile appare la coesione tra le diverse componenti tribali che ne fanno parte, al punto da rendere difficile un’interlocuzione politica a livello internazionale, governo italiano a parte che – dopo i baci al Rais – sembra aver delegato all’ENI i nuovi rapporti, lasciando libero campo al neo-colonialismo di Nicolas Sarkozy e David Cameron.
Al confine con la Libia segna il passo in Egitto la transizione politica verso la democrazia: i militari e uomini del passato regime controllano ancora molte leve del potere, le elezioni sono state rinviate a novembre, ma intanto sembra mutare la collocazione egiziana sullo scacchiere internazionale. In particolare sta cambiando l’atteggiamento, finora pacifico, nei confronti di Israele e crescono movimenti popolari ostili anche se non ancora di chiaro segno fondamentalista.
Israele e la Palestina, due popoli ma ancora un solo Stato, quello israeliano e i Palestinesi in attesa da anni che venga riconosciuto il loro Stato come chiaramente convenuto in sede internazionale, ONU compresa che sull’argomento mostra tutta la sua impotenza, con risoluzioni senza seguito e incapaci di imporre uno straccio di diritto internazionale a Israele che si ostina imperterrito nella sua politica di occupazione dei territori palestinesi, calpestando diritti elementari di quanti vi abitano.
La recente Assemblea Generale dell’ONU ha dovuto registrare la comprensibile esasperazione dell’Autorità   Palestinese che ha rivendicato il riconoscimento della Palestina come Stato, scontrandosi con la deludente retromarcia di quell’Barack Obama che all’Università   del Cairo aveva annunciato un nuovo clima con il mondo dell’Islam, a cominciare dal conflitto israelo-palestinese.
L’iniziativa palestinese, bloccata dalla pressione ostile degli USA, ha tuttavia raggiunto lo scopo di gridare al mondo quanto pericolosamente si perseveri in questa ingiustizia e di mostrare quanto Israele sia meritatamente sempre più isolato nella comunità   internazionale.
Risaliamo ancora la sponda orientale del Mediterraneo: ci aspetta la Siria, Paese importante per popolazione e capacità   militare, dove il dittatore Bashar Al-Assad continua a massacrare gli oppositori senza che la comunità   internazionale trovi il coraggio di farsi concretamente sentire, ben lontana dalla facilità   e leggerezza con cui è intervenuta in Libia.
E concludiamo il nostro giro con la Turchia, l’attore politico che sta in questi ultimi tempi assumendo nel Mediterraneo un ruolo sempre più importante. Lo sta facendo in un conflitto crescente con Israele, suo tradizionale alleato anche militare, un Paese già   assediato dal vicino Iran, in tensione con il Libano e la Giordania, abbandonato dall’Egitto e, adesso, anche dalla Turchia. Gli resta alleato, almeno fino alle prossime elezioni presidenziali, il presidente Obama e vicina ma incerta l’Europa.
Un’Europa che farebbe bene a questo punto a chiedersi quanto conti ancora nel Mediterraneo e che cosa avverrà   con la Turchia, un Paese in forte crescita economica, con una popolazione giovane e consapevole della sua posizione di «porta d’Oriente» in una stagione di forte sviluppo economico asiatico.
La Turchia ha fatto prova finora di una grande pazienza con l’Unione Europea che da decenni conduce con essa una politica del rinvio, anche dopo aver avviato formalmente i negoziati di adesione, visti con diffidenza da parte di Paesi come la Francia e la Germania. Stanca di aspettare la Turchia sembra aver deciso di giocare una sua partita a tutto campo come potenza regionale nel Mediterraneo, inasprendo i suoi rapporti con Israele e Cipro, dove sono in ballo interessi legati a perforazioni di giacimenti petroliferi e di gas, e proponendosi come modello per i Paesi della «primavera araba» con il suo biglietto da visita di «Islam democratico e laico». Democratico forse, ma ce ne sta ancora; laico molto meno, in questi ultimi tempi.
Il giro finisce con l’Italia, che nel Mediterraneo c’è e galleggia come puà².
Appunto, galleggia ma non naviga, limitata com’è al piccolo cabotaggio di una politica esausta e senza visione, più interessata alle intercettazioni del premier che ad intercettare i nuovi movimenti che stanno cambiando il Mediterraneo. Dove, intanto, la temperatura sale.

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