Rischio di navigazione a vista nell’Unione Europea

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Ci sono frasi boomerang che, prima o poi, si ritorcono con chi le pronuncia con troppa leggerezza, come accade con le promesse elettorali. Ne abbiamo adesso la prova all’indomani delle elezioni europee, dopo le quali – dicevano in molti – “tutto sarà più chiaro,  cambieremo l’Unione”. Non sembra proprio che stia andando così.

Che la situazione non sia politicamente limpida lo si può declinare in diverse direzioni nell’Unione Europea, che si tratti della nuova configurazione politica post-elezioni del Parlamento europeo, che si tratti delle mine vaganti che minacciano il futuro dell’Europa o, ancora, che si guardi alle prospettive problematiche di Paesi UE importanti come la Francia, la Germania e l’Italia.

Ma andiamo con ordine. Nella vigilia elettorale abbiamo spesso sentito annunciare da più parti che dopo il voto europeo tutto sarebbe cambiato nelle Istituzioni, in particolare da chi scommetteva su un ribaltamento della composizione del nuovo Parlamento europeo e, di conseguenza, nella successiva designazione dei nuovi Vertici delle Istituzioni comunitarie. 

Per il Parlamento non è proprio andata così, la tradizionale maggioranza di orientamento europeista ha tenuto le posizioni, anche se con numeri e articolazioni modificate al proprio interno, e le forze nazional-populiste hanno guadagnato qualche seggio, senza per questo sconvolgere il quadro parlamentare. 

Al momento si profila una tolda di comando nell’UE con lo schema politico tradizionale, attorno all’asse Partito popolare europeo e Gruppo socialista e democratico, d’intesa con i liberali. Lo confermano le candidature sul tavolo del Consiglio europeo:  Ursula von der Leyen, dei popolari tedeschi, alla presidenza della Commissione; Antonio Costa, socialista portoghese, alla presidenza del Consiglio europeo e l’estone liberale, Kaja Kallas, alla politica estera. Una terna che conferma anche il “cordone sanitario” alzato contro le destre, quelle italiane comprese, peraltro già in grande difficoltà ad aggregarsi in Parlamento, in una impraticabile “internazionale dei nazionalisti”.

Non va però dimenticato il quadro politico nazionale  particolarmente incerto in Francia e  Germania, con entrambi i Paesi indeboliti dal voto: i francesi alle prese con azzardate elezioni legislative a cavallo di giugno-luglio e i tedeschi ammaccati dal successo dell’estrema destra e in ansia crescente per le elezioni federali previste nel settembre 2025. 

Qui la prospettiva è che possa finire per questi due Paesi la lunga storia di un motore che ha contribuito al  processo di integrazione europea, con vantaggi per l’Unione e, naturalmente, anche abbondantemente per Germania e Francia.

Contemporaneamente è destinata a finire anche l’ambiguità dell’attuale governo italiano verso l’UE, nonostante che la maggioranza di destra sia stata confermata dal voto, ma adesso confrontata con un pezzo importante delle opposizioni, uscite bene dalla competizione elettorale che ha posizionato due partiti, Fratelli d’Italia e Partito democratico, alla testa dei rispettivi Gruppi politici a Strasburgo. 

Per il governo italiano, messo all’angolo dalle recenti proposte per i nuovi Vertici UE,  è anche finita la tregua elettorale, con la  sospensione del vecchio Patto di stabilità e la parziale entrata in vigore del nuovo Patto, che per l’Italia è lungi dall’essere stato un regalo, grazie anche al modo maldestro in cui è stato negoziato, mentre ritorna il tema imbarazzante della ratifica del Meccanismo europeo di stabilità (MES), con ricadute pesanti sull’affidabilità dell’Italia nell’UE. 

Chi non l’avesse capito prima, adesso ne vedrà le conseguenze: l’Italia è entrata in procedura di infrazione per deficit eccessivo – 7,4% del Prodotto interno lordo invece del 3% convenuto –  e dovrà sottoporsi a una lunga traversata del deserto, da quattro a sette anni, con una riduzione annuale della spesa per abbassare la soglia del debito pubblico, oggi attorno al 140% invece del 60% verso cui tendere negli anni.

Finisce così anche la stagione delle promesse elettorali, generose come d’abitudine, ma senza le risorse necessarie per mantenerle, anzi con il rischio di tornare indietro su altre misure sociali adottate in passato, sperando almeno che venga confermata la riduzione del cuneo fiscale.

A ben guardare la situazione europea ed italiana si è fatta più complicata di prima: basti pensare alle mine vaganti che restano le guerre e che saranno la crisi climatica e l’invecchiamento della popolazione, con la prospettiva di una pericolosa guerra commerciale con la Cina, in attesa del voto per la futura presidenza degli Stati Uniti.

Già si navigava abbondantemente a vista prima; adesso, dopo l’imminente voto francese e quello, a metà luglio, del Parlamento europeo sulla candidatura Von der Leyen, non sono escluse sorprese per la barca ammaccata dell’Unione alle prese con il rischio di una tempesta perfetta. 

Con tanti auguri a chi ne sarà al timone.

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