Riarmi nazionali senza difesa comune europea  

110

Il dibattito in corso sulla necessità ed urgenza di assicurare una protezione all’Europa di fronte alle aggressioni in corso e alle minacce di aggressioni future rischia di distrarre dalle prospettive future in favore di una politica comune di sicurezza e difesa e, a più lungo termine, della creazione di un esercito europeo.

Contribuiscono a questa “distrazione di massa” tanto le visioni “nazionali” dei governanti europei, rese ancora più miopi dagli interessi di partito, appesi al consenso nel breve termine, e la variabilità in Europa di questo stesso consenso, come rivelato da numerosi sondaggi d’opinione con risultati convergenti.

Questi ultimi raccontano di un’opinione pubblica incerta e frammentata, non soltanto e tanto tra destra e sinistra politica, spesso intrecciate tra loro, quanto piuttosto tra le percezioni del pericolo tra chi a nord e ad est sente il fiato sul collo della Russia e chi a sud si ritiene meno a rischio di aggressione, contando sulla distanza e qualcuno perché ancora si culla nell’illusione dell’amico americano, come certificato nero su bianco nell’intervista di Giorgia Meloni al Financial Times di venerdì scorso.

A fronte di queste frammentate opinioni pubbliche i governanti, statisti mancati per la loro miopia su strategie di più lungo periodo, rimangono aggrappati ai loro presunti interessi nazionali senza una reale prospettiva di una politica comunitaria della difesa, facendo ciascuno in casa propria il conto delle risorse finanziarie disponibili e della loro destinazione a garanzia del consenso immediato.

Illustra bene questa situazione il caso di due Paesi importanti nell’UE – ma non sono i soli – come la Germania e l’Italia. La trappola in cui si è infilato il governo italiano invocando, come da antica consuetudine, una deroga in materia di disciplina finanziaria pubblica, in questo contesto applicata alla spesa militare da non computare nel Patto di stabilità, sta producendo effetti perversi contro lo sviluppo di una difesa comune. 

La risposta favorevole all’alleggerimento delle regole finanziarie da parte della Commissione, come avvenuto durante la pandemia, ha aperto un varco tra le reali potenzialità nazionali quanto a capacità di spesa. Già avevamo sperimentato il varco aperto dalla flessibilità accordata per gli aiuti di Stato, che favorirono allora Paesi come la Francia e la Germania, e ci stiamo ricascando adesso con la Germania che, dopo aver tolto dalla Costituzione il “freno al debito”, può disporre di un volume straordinario di risorse da investire in armamenti e infrastrutture, e con l’Italia il cui debito senza freni svuota le casse dello Stato e lascia pochi spiccioli per rispondere ad altre priorità, come sanità e  servizi pubblici in crisi: figuriamoci se può realisticamente permettersi di aumentare in modo significativo la spesa militare, oggi congelata attorno all’1,5% del Prodotto interno lordo, rispetto a una richiesta NATO di almeno raddoppiarla in tempi brevi.

Così la conseguenza è che chi può riarma per sé, chi non può resta fuori dalla partita e spera nella protezione americana e intanto la difesa comune resta di là da venire, con la prospettiva di vedere lacerare ulteriormente il tessuto comunitario dai nuovi sviluppi divergenti delle economie nazionali, a partire dalla politica industriale fino alle infrastrutture e alle ricadute sociali nella vita quotidiana dei cittadini europei, come stanno tra l’altro dimostrando le divaricazioni salariali in Europa.

Poteva non piacere a tutti la proposta di Mario Draghi, ma il ricorso prospettato a un debito comune avrebbe potuto contrastare questa frammentazione e lo potrebbe ancora se, a partire da Ursula von der Leyen, prevalesse una visione europea della politica di sicurezza e della difesa e non la sua nostalgia per quando, per lunghi anni, era ministro della difesa federale tedesca e se il Parlamento europeo interpretasse con più determinazione la sua vocazione di Istituzione a tendenza federale. 

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here