C’era una volta il “Tour dell’Avvenire”. Era stato inventato in Francia come traino al Tour vero, quello dei campioni già affermati, magari grazie al doping, e aveva l’obiettivo di portare alla ribalta i giovani talenti delle due ruote.
Andrebbe reinventato in questa settimana per il giovane Renzi, alle prese con il suo primo impegnativo Tour europeo da neo-presidente del Consiglio italiano.
Una corsa contro il tempo, come piace a lui. Prima a Parigi, da un presunto compagno di squadra, il presidente francese François Hollande – entrambi corrono con i colori del Partito socialista europeo (Pse) – e poi a Berlino da una collega di area democristiana, la cancelliera Angela Merkel – della composita famiglia del Partito popolare europeo (Ppe) per arrivare, un po’ sfiatato, al traguardo del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo a Bruxelles a fine settimana. Una corsa seguita non senza qualche ansia in Italia – Quirinale compreso – e con curiosità nel resto dell’Europa e anche oltre Atlantico, in particolare dal Fondo monetario internazionale. Che si tratti di una corsa a ostacoli è chiaro: da una parte i vincoli dei conti pubblici e i tempi lunghi dell’Europa, dall’altra le necessarie flessibilità per tentare di dare fiato alla crescita in Italia e l’imminenza delle elezioni europee, prima vera prova di legittimazione popolare per il governo Renzi.
Tutto questo mentre l’Europa è con il fiato sospeso per le sorti dell’Ucraina e quelle del futuro del continente che, a cent’anni dall’inizio della prima guerra mondiale, ritrova vecchi brividi. A Parigi, Renzi ha ricevuto lo scontato conforto, al limite della banalità, di un presidente in difficoltà e imbarazzato da eventuali nuove tensioni con la Germania, in una Francia sul bordo della depressione e con il fiato sul collo dei nazionalisti anti europei della Le Pen. Ma la vera corsa in salita ha fatto tappa a Berlino, epicentro dell’austerità per la periferia dell’UE, molto meno per la Germania, da dove si sorveglia l’indisciplinata Italia e si guarda al piano “ambizioso” e “impressionante” di Renzi non senza qualche perplessità. Sul tavolo a Berlino faceva bella mostra l’enorme debito pubblico italiano, ormai vicino ai duemilacento miliardi di euro, numeri che sbarrano la strada a facili flessibilità sul deficit e a sostanziosi stimoli alla crescita, visto che non solo c’è da rispettare i parametri di Maastricht – come si è impegnato a fare Renzi – ma anche i vincoli sciagurati imposti dal “fiscal pact”, come ha ricordato la Merkel.
Difficile per Renzi giocare con simili carte in mano, ma non impossibile. Fortunatamente l’Italia non è la Grecia e il suo debito non angoscia solo noi, ma forse ancor più i nostri partner, in attesa di una sua riduzione grazie anche a una ripresa della crescita. Senza contare che restiamo la seconda industria manifatturiera, grandi importatori dalla Germania e stiamo ridiventando un Paese interessante per gli investitori stranieri.
E poi ci sono elezioni europee che nè Renzi nè Merkel possono perdere né le può perdere l’Europa, pena smarrire la strada verso l’integrazione e verso una coesione non solo economica ma ancor più politica. Un rischio da non correre proprio adesso che l’orso russo potrebbe essere tentato da nuove zampate. Anche per questo è necessario andare di corsa. Renzi ne ha fatto la sua specialità, consapevole che non ha molto tempo a disposizione e forse memore, lui a pochi mesi dai quarant’anni, di quanto ebbe a dire Pablo Picasso: “I 40 anni sono quell’età in cui ci si sente finalmente giovani. Ma è troppo tardi”.