Quel treno per l’Europa di domani

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Il convoglio europeo era partito al mattino presto degli anni ‘50 del secolo scorso, aveva solo sei vagoni che si chiamavano Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Italia, alla guida della locomotiva tre macchinisti ancora inesperti, quello che si sarebbe chiamato Parlamento europeo, il Consiglio dei ministri nazionali e la Commissione. Uno degli ideatori del percorso, Jean Monnet,  dichiarò con coraggio che “l’essenziale non è sapere dove andare, è andarci” e il treno partì e macinò molto strada, altri vagoni si agganciarono negli anni, fino a portare a bordo praticamente tutta l’Europa occidentale, terminando il secolo con 15 vagoni, tanti erano allora i Paesi membri.

Poi, nel 1989, venne giù con il Muro di Berlino un pezzo di mondo, si unificò la Germania, si dissolse l’Unione Sovietica e il treno si trovò davanti a un bivio: se proseguire tranquillo con 15 vagoni o se agganciarne altri in provenienza da est. I macchinisti impiegarono tredici anni a completare il convoglio accogliendo a inizio di questo secolo un’altra dozzina di vagoni e perdendone uno, per sua scelta, con la secessione del Regno Unito nel 2020. 

Adesso i macchinisti sono alle prese con un’altra difficile decisione, quella di agganciare nel giro di un decennio un’altra decina di vagoni, tra Paesi balcanici, Ucraina, Moldavia e, forse, la Georgia. Ci dovranno pensare bene, perché non tutto è andato per il meglio lungo la tratta percorsa dal 1951 ad oggi e tocca a noi aiutare i macchinisti a non sbagliare, perché dopo l’esperienza di oltre trent’anni di viaggio in comitiva, non basta “andare”, è necessario anche sapere “dove” e saperlo adesso. 

Il presidente Mattarella ha indicato il traguardo della “sovranità europea”, ricordando che “con l’elezione del Parlamento europeo consacreremo la sovranità dell’Unione”, scatenando la reazione scomposta di chi vuole “Più Italia, meno Europa”. Per chi l’avesse dimenticato, la “sovranità europea” la invocò già nel 1954 Alcide De Gasperi quando a Parigi parlò di “Patria Europa”.

Con le prossime elezioni europee dell’8-9 giugno, al comando della locomotiva UE ci sarà almeno un parziale cambio di macchinisti, in particolare per il Parlamento europeo e per la Commissione, oltre che per il Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo.

Il Parlamento europeo che risulterà dall’imminente voto dovrà formare una maggioranza: da quello capiremo già qualcosa della direzione che potrà prendere il treno, se andare verso più integrazione europea o verso i vecchi staterelli-nazione, con il rischio di tornare indietro al secolo scorso o, se va bene, fermarsi al capolinea di un’Unione depotenziata e senza ruolo da giocare nel mondo di domani.

La Commissione europea sarà ricomposta con un nuovo collegio di Commissari, uno per Paese membro, alla guida del quale sarà designato un candidato o una candidata da parte dei 27 Capi di Stato e di governo: lo dovranno fare “tenuto conto” del risultato elettorale, una condizione giuridicamente non vincolante, per tornare poi davanti al Parlamento e ottenere l’approvazione per la loro proposta. E’ una partita complicata, difficile prevedere come finirà. Quello che sarà chiaro alla fine della partita, che dovrebbe giocarsi a cavallo di giugno-luglio, sarà la direzione e la velocità che prenderà il lungo, affaticato treno dell’Unione Europea: se svoltare deciso verso una progressiva sovranità europea, se rallentare in attesa di sapere dove andare o tornare indietro verso pretese sovranità nazionali, ormai irrilevanti nel gioco mondiale.

Il Consiglio europeo a sua volta dovrà darsi un nuovo Presidente da individuare tra ex-primi ministri nazionali e qui il risultato del voto conterà solo in parte, ma difficilmente sarà scelto un “macchinista di spinta”, sarà già molto se non frenerà troppo, salvo che emerga un nome di così alto profilo da potersi prendere qualche libertà. Qualche nome circola, anche tra gli italiani, ma non è il momento di cercare di indovinare.

Resta adesso l’urgenza per i cittadini-elettori di dire chiaro ai futuri macchinisti non solo che il treno deve andare, ma anche dove andare, prima che la straordinaria avventura dell’integrazione comunitaria si spenga e il treno arrugginisca su un binario morto con tutti i suoi passeggeri a bordo, cioè noi.

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