Quando la Turchia scende in piazza

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Il 24 marzo scorso, il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu è stato arrestato e portato nella prigione di Silivri, alla periferia della città. Accusato di corruzione e di altri delitti, il sindaco di Istanbul rappresenta il principale rivale politico del presidente Erdogan e per questo suo bersaglio preferito.

L’arresto di Imamoglu e di altre 47 persone, fra cui anche giornalisti, ha innescato un movimento di protesta contro il regime di Erdogan, movimento che dalla capitale economica si sta estendendo in gran parte del Paese. 

Un movimento che, sebbene in crescita, mette tuttavia in evidenza una certa spaccatura nella società civile turca, divisa fra il Partito di Erdogan, AKP (il Partito delle Giustizia e dello Sviluppo), con tutto il suo carico di populismo islamista e una recente opposizione, rappresentata in particolare dal partito laico e progressista CHP (Partito popolare repubblicano) di cui Imamoglu è leader e recentemente investito dal Partito come candidato alle prossime elezioni presidenziali del 2028.

Ma al di là dell’arresto del sindaco di Istanbul e del peso del suo Partito, attori, ad esempio, di significativi risultati elettorali alle due ultime elezioni comunali, la posta in gioco di queste manifestazioni ha a che fare con un’esigenza di cambiamento di rotta nella deriva autoritaria e totalitaria di Erdogan e nel rifiuto  di tanto potere concentrato nelle sue mani. I giovani, in particolare, che hanno conosciuto solo la deriva autoritaria di Erdogan, parlano di democrazia, di stato di diritto e di avvicinamento a valori di libertà e di indipendenza della giustizia. Non solo, ma parlano anche di un riavvicinamento all’Europa.

Certo è che il sindaco progressista di Istanbul, anche se dietro le sbarre e malgrado i duri scontri dei manifestanti con le forze dell’ordine, rappresenta un solido rivale di Erdogan in grado di sconfiggerlo alle future elezioni presidenziali. Significativo, tuttavia, il fatto che Erdogan, secondo la legge attuale turca, non potrebbe ricandidarsi alla Presidenza, salvo modificare in suo favore la Costituzione.

Le manifestazioni in corso e il tentativo di Erdogan di far tacere l’opposizione giungono in un momento particolarmente sensibile dell’insieme del contesto internazionale e del veloce mutamento geopolitico in corso. Innanzitutto, in un mondo che sta perdendo la sua bussola per quanto riguarda il diritto internazionale, Erdogan gode di una specie di impunità internazionale al riguardo anche se sono giunte moderate dichiarazioni e inviti al rispetto della democrazia da parte dell’Unione Europea.

In un periodo storico in cui l’Europa sta cercando di costruire una sua difesa e una sua sicurezza,  vale la pena ricordare qui l’importanza della Turchia nella NATO, secondo esercito più importante nell’Alleanza sostenuto da un’importante industria della difesa, nonché il ravvicinamento della Turchia all’Europa e l’interesse manifestato per la coalizione dei Paesi volenterosi. Non solo, ma non va dimenticato nemmeno il ruolo della Turchia nei confronti del conflitto tra Russia e Ucraina, i suoi buoni rapporti con Putin e Zelenski e, dall’altra parte dell’Oceano con Donald Trump. Per quanto riguarda il Medio Oriente va sottolineato soprattutto il ruolo che intende giocare in Siria e dintorni.

Il movimento di protesta è solo agli inizi. E’ ancora fragile e spontaneo, ma è la sua determinazione a sfidare il regime a disegnarne il futuro e il futuro della Turchia.

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