Quale solidarietà   europea alla Grecia?

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Sono molti gli intrecci che possono aiutare a dipanare almeno un po’ la matassa che si è andata aggrovigliando in questi giorni attorno al rischio di bancarotta finanziaria della Grecia e che il recente Vertice dei capi di Stato e di governo dei 16 Paesi dell’eurozona ha provato a sciogliere, lasciando più d’uno perplesso sulla soluzione adottata.
Era, è vero, un puzzle complicato, con pezzi difficili da comporre insieme.
Si comincia con la mappa dei Paesi dell’area euro con gravi difficoltà   delle finanze pubbliche: in testa alla classifica c’è la Grecia, subito dietro Spagna, Portogallo e Irlanda e, a ruota, l’Italia. Una netta prevalenza di Paesi di quella Europa del sud guardata con sufficienza, se non con diffidenza, da Germania & C. e il cui risanamento dei conti pubblici potrebbe avere per tutti costi crescenti.
Nà© sfugge che il Patto di stabilità   sia sotto pressione e richieda, dopo anni di prova ed esitazioni, una seria revisione che gli consenta da un lato di sostenere anche la crescita (perchà© non si trasformi in una «Patto di stupidità  », come ebbe a definirlo Prodi anni fa) e, dall’altro, renda effettivo l’esercizio di misure preventive, che permettano all’UE di intervenire «prima che i buoi siano scappati dalla stalla», come è avvenuto nel caso greco. Magari anche aggravandone le sanzioni per i trasgressori, come vuole Angela Merkel che si è spinta fino ad ipotizzare per i casi più gravi anche l’espulsione dall’euro. Esito che non dispiacerebbe a quanti dell’indebolimento dell’euro hanno fatto un programma: all’interno dell’UE per cavalcare l’inflazione come facile risposta alla situazione di crisi e, all’esterno, per minare la forza di una moneta che concorre alla stabilità   monetaria nel mondo.
Intanto perಠl’euro, moneta unica di 16 Paesi UE, ballava pericolosamente ed era sceso ai suoi livelli più bassi degli ultimi mesi, nà© consola che in questa discesa gli facessero compagnia sia la valuta inglese che quella giapponese anche perchà©, a fronte, si stava rafforzando oltre misura il franco svizzero. Era chiaro il messaggio dei mercati sul rischio di perdita di fiducia verso l’euro, confermato dalla tensione che andava delineandosi tra le istituzioni europee e i governi nazionali e di cui è tuttora una fedele traduzione la decisione del recente Vertice dei 16.
Da una parte i governi «solidaristi», ma anche interessati ad un eventuale sostegno (come nel caso di Spagna, Italia e Francia), la Commissione e il Parlamento Europeo, dall’altra la Germania che memore del suo perduto marco forte vive nell’incubo di un euro indebolito da Paesi lassisti, quelli del sud in particolare.
Impegnata nella ricerca di una soluzione la Banca Centrale Europea (BCE), che ha il compito di vegliare alla stabilità   della moneta, ma per farlo si aspettava un sostegno particolare dalla Germania non gradendo che questa abbia girato la richiesta al Fondo Monetario Internazionale (FMI, dove il principale Paese azionista sono gli USA) il cui intervento rischia di discreditare la capacità   di intervento delle autorità   europee e indebolire ulteriormente l’euro. Nà© vi era il tempo per la creazione di un Fondo monetario europeo, della cui validità   sono in molti a dubitare e che comunque richiede ben altro consenso che quello raggiunto oggi in favore di strumenti monetari comuni in Europa.
Ne è venuto fuori un compromesso, promosso dal solito asse franco-tedesco e condiviso con gli altri 14 Paesi della zona euro: in caso di una risposta insufficiente dei mercati alle necessità   del rifinanziamento greco, potranno intervenire una maggioranza di finanziamenti europei sulla base di prestiti bilaterali e con una sostanziosa quota da parte del FMI. Una soluzione che non è piaciuta alla BCE e che i Paesi obbligati a pagare il conto più salato – nell’ordine Germania, Francia e Italia – dovranno far accettare alle rispettive opinioni pubbliche. Per l’Italia con un costo politico in più, quello di dover pagare senza avere esercitato un ruolo nel negoziato, contrariamente a Germania e Francia.
Come si vede, un rompicapo che minaccia di rompere anche la già   fragile solidarietà   europea ancora lontana dal realizzare una compiuta coesione con molti dei dodici Paesi entrati nell’UE dal 2004 ad oggi, mentre già   incalzano nuove problematiche adesioni – politicamente non rinviabili troppo a lungo – come quelle dell’Islanda, della Croazia e degli altri Paesi balcanici.
L’Europa sta completando il suo «gioco dell’oca». Di casella in casella, da situazioni bloccate ai rilanci, dalla prudenza al coraggio, sta arrivando ineluttabilmente alla questione che ha cercato di evitare da troppo tempo: come puಠessere possibile un mercato unico, una moneta unica, e ventisette politiche economiche e di bilancio che divaricano a piacere, a seconda degli interessi del momento? A quando, finalmente, un governo comune dell’economia europea?
Prima arriva meglio è: per la Grecia certamente, per l’Italia e per tutti gli altri anche, Germania compresa. Insomma, un passaggio obbligato se si vuole che questa straordinaria avventura dell’Unione Europea abbia un futuro.

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