Promemoria per i giorni che verranno

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Sarebbe bello con le vacanze cancellare, con un semplice tratto di penna, i problemi che ci hanno accompagnato finora. Sarebbe bello ma anche pericoloso visto che, prima o poi, dalle vacanze – quelli che ci possono andare – e sono sempre meno – si deve un giorno rientrare e fare i conti con quello che troveremo.
Ci aspetterà   in autunno un anniversario non proprio felice: saranno allora tre anni che arranchiamo nel tunnel di una crisi che non accenna a finire. Una crisi all’inizio finanziaria, poi rapidamente economica e sociale e, oggi, in molte parti del mondo, come in Italia, politica. Era cominciata oltre-Atlantico per diventare in poco tempo trans-atlantica, coinvolgendo tutto il ricco Occidente e facendo sentire le sue conseguenze anche oltre.
Adesso, l’estate del 2011 sembra riproporre uno scenario non molto diverso da allora: gli Stati Uniti, con il loro debito pubblico di 14 mila miliardi di dollari, hanno ballato sull’orlo del fallimento e solo un precario accordo dell’ultimo minuto tra Democratici e Repubblicani ha permesso di evitare, almeno provvisoriamente, un «default» con conseguenze drammatiche anche per l’Europa.
Europa che di una nuova tempesta da oltre-Atlantico non ha proprio bisogno e ancor meno l’Italia.
Non ne ha bisogno l’Europa-tartaruga che si è mossa finora troppo lentamente per spegnere l’incendio del dissesto finanziario greco e che non sembra ancora attrezzata a fermare il contagio della speculazione finanziaria che ha messo gli occhi sull’Italia, un Paese paralizzato da una crisi politica strisciante e zavorrato da un debito pubblico ogni giorno più costoso e da una crescita che non decolla.
Ci avevano raccontato che il sistema bancario italiano era solido, ma si erano dimenticati di dirci che era pieno zeppo di titoli pubblici poco apprezzati dai mercati, al punto che banche estere – come quelle tedesche – se ne stanno disfacendo con una fretta almeno sospetta.
Dopo il Consiglio Europeo di Bruxelles del 21 luglio si era parlato di svolta storica e di ritrovata solidarietà   europea con la Germania pronta a sostenere la Grecia ma più ancora a sostenere se stessa. Non hanno pensato la stessa cosa i mercati che hanno continuato a picchiare forte sulle borse europee, non rassicurate nà© dalle decisioni di Bruxelles nà© da quelle di Washington.
Tutti segnali inequivocabili che hanno spinto forze sociali e partiti di opposizione, in tradizionale conflitto tra di loro, a cercare insieme quello scatto di iniziativa richiesto dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, con l’obiettivo esplicito di provocare una discontinuità   dell’azione politica – da mesi bloccata a servizio del presidente del Consiglio – perchà© investa sulla crescita, senza la quale è inutile sperare un rientro dal debito e il rilancio dell’occupazione. Un’occupazione che ha registrato qualche debole fremito, ma senza rassicurare sull’autunno che ci aspetta e che continua a espandere l’area del precariato e dell’inquietudine tra i lavoratori privati di reddito e, più ancora, di prospettive per il futuro.
Non è un caso se l’ultimo rapporto dell’Istituto di Ricerche economiche e sociali (Eu.R.E.S.) – e i dati sono solo quelli del 2009 – ha fatto registrare una contabilità   sconvolgente di suicidi legati al problema del lavoro, con un aumento del 37,3% rispetto al 2008: 357 persone, quasi una al giorno, hanno scelto di andarsene da questo mondo nel quale non trovavano un ruolo di cittadini attivi.
Cifre sulle quali dovrebbero meditare giorno e notte quelli che allargano le braccia e dicono che per il malessere psicologico derivato dalla crisi economica non c’è nulla da capire che non si sappia già   e che ben poco si puಠfare. Solo che lo dicono quelli che stanno bene, quelli che magari godono anche di rendite derivanti dall’appartenenza a «caste», e non solo a quelle romane.
Intanto il popolo dei poveri cresce: in Italia l’ultimo rapporto Istat racconta di tre milioni di persone (il 5,2% della popolazione) in povertà   assoluta, privata di beni e servizi essenziali e altri otto milioni (13,8% della popolazione) in povertà   relativa, a cui si aggiunge la categoria delle famiglie «quasi povere» (un altro 7,6% di famiglie).
Cresce anche la ricchezza dei pochi che detengono patrimoni più o meno grandi e che si scandalizzano a sentire chi – come ancora Giuliano Amato, tempo fa sul «Corriere della sera» – osa parlare di prelievi sulla ricchezza, alimentando l’incubo di una «patrimoniale» ormai all’orizzonte.
Sarebbe bene meditare su quanto John Fitzgerald. Kennedy ebbe occasione di dire al suo Paese – e che in questi giorni ha provato a ripetere, senza molto successo, anche Barak Obama: «Se una società   libera non puಠaiutare i molti che sono poveri, allora non potrà   salvare i pochi che sono ricchi».
Un messaggio sul quale meditare anche in Italia se vogliamo evitare, dopo un’estate calda, un autunno bollente.

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