Processo all’immigrazione

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Da sempre gli “altri” sono sotto processo. Più ancora, e con maggiore accanimento, se gli “altri” sono gli stranieri, quelli che oltrepassano, regolarmente o meno, le “sacre frontiere” di casa nostra, destinate a difendere la nostra sicurezza e il nostro benessere.
Gli immigrati sono comunque degli imputati, non c’è bisogno di prove per condannarli, per loro non è nemmeno necessario ricorrere a un regolare “giudizio”, basta il “pregiudizio”.
Devono essersi detto qualcosa del genere i ragazzi di GIOCS che, in collaborazione col Comune ed Eclectica e col contributo della Fondazione CRC, hanno allestito venerdì 10 giugno a Cuneo in san Giovanni, un processo all’immigrazione con tanto di pubblica accusa, difesa, testimoni, giurati e due autentici magistrati, attualmente in esercizio nella Procura cuneese, con la funzione di giudici.
Si è trattato naturalmente di un gioco di ruolo dove ciascuno ha svolto al meglio la sua parte: con molta fatica per chi ha dovuto farsi carico delle accuse spesso rozze di razzisti e xenofobi nostrani, con più elaborate argomentazioni da parte dei numerosi testimoni chiamati a rispondere alle domande dell’accusa e della difesa. Ne è venuto fuori un riuscito tentativo di abbattere i numerosi luoghi comuni e di riconsiderare le statistiche che contrastano con le percezioni circa la presenza dei migranti, alimentando paure e intolleranze. I testimoni hanno portato alla sbarra i temi dell’accoglienza, del disagio sociale, della sicurezza, della mediazione interculturale, della scuola, della salute e delle pratiche religiose.
Tutto questo in una sala san Giovanni gremita e attenta, dove sarebbe stata auspicabile una maggiore presenza di immigrati, ma dove molti erano i giovani in una platea intergenerazionale sicuramente segnata da sensibilità diverse, troppo poco espresse nel breve dibattito svoltosi nell’attesa che i giurati e i giudici rientrassero in aula per comunicare il verdetto finale. Un verdetto che ha dichiarato incostituzionali molte delle pene richieste dall’accusa e, nella sostanza, riaffermato la presunzione di innocenza degli imputati, ai quali va riconosciuta la responsabilità individuale, evitando di sparare nel mucchio, sulla base di radicati pregiudizi che “accolgono” nella nostra casa comune gli immigrati.
E’ stato un “processo” che sembrava un gioco e forse un po’ lo era, ma un gioco al massacro di gente intollerante contro persone inermi, approdati in terre sconosciute, senza conoscerne lingua, costume e malcostume. Proprio come accadeva cent’anni fa ai nostri migranti in America latina e, più recentemente, in mezzo mondo e anche nel nostro “civile” settentrione italiano alle prese con i flussi migratori dal sud.
Si è trattato di un “processo” che è stato anche una lezione sulle reali dimensioni dell’immigrazione in Europa e in Italia, sui costi e i benefici economici che ne derivano per il nostro Paese, oggi con un saldo positivo per l’Italia, e sulle prospettive problematiche che potrebbero pesare in futuro se la politica continua ad affrontare il tema come un’emergenza passeggera e non invece come un radicale mutamento di società che sta ridisegnando il mondo, l’Europa e la nostra Italia.
“Nostra” di noi che ne abbiamo la nazionalità e di quanti vivranno stabilmente tra noi, diventandone cittadini come noi, con eguali diritti e doveri, in una comunità plurale e tollerante.

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