Dev’essere proprio vero che «il comico è solo il tragico visto di spalle».
L’altro giorno a Bruxelles, in occasione di un importante Consiglio Europeo dei capi di Stato e di Governo, molti osservatori stranieri hanno visto il presidente del Consiglio italiano, reduce dalle sue vicende poco istituzionali, prevalentemente di spalle, mentre davanti all’Italia si andavano preparando provvedimenti tutt’altro che allegri.
All’ordine del giorno come al solito molti temi, ma con uno che prevaleva su tutti: la disciplina dei conti pubblici per i Paesi dell’euro e i meccanismi di sanzione per quanti trasgredissero le regole del Patto di stabilità , convenuto a salvaguardia della nostra moneta unica.
Un confronto che era nell’aria da tempo, ma diventato drammatico con il rischio di bancarotta della Grecia, evitata di un soffio con dolorosi salassi di denaro pubblico da parte dell’UE e con l’intervento del Fondo monetario europeo. Da allora le istituzioni europee, Banca centrale in testa, hanno cercato di correre ai ripari mettendo ordine nelle regole della finanza, privata e pubblica, e predisponendo strumenti più efficaci di vigilanza e di sostegno europeo ai Paesi in difficoltà .
La settimana scorsa a Bruxelles un passo nella buona direzione è stato fatto e ancora una volta a orientarlo è stata la Germania, anche se non tutta la severità tedesca è stata accolta, nelle deliberazioni finali. Tra queste spiccano per importanza la decisione di trasformare, nel 2013, in un Fondo permanente – una sorta di Fondo monetario europeo – la dotazione triennale di 750 miliardi prevista per la Grecia e soci e definire entro il 2011 le nuove norme per il Patto di stabilità e relative sanzioni per i trasgressori.
L’intesa sulla creazione di un Fondo europeo anti-crisi dovrà adesso trovare una formulazione nel Trattato di Lisbona, con la speranza di non doverla sottoporre alle tradizionali ratifiche con gli inevitabili tempi lunghi che conosciamo.
Più complicato e di difficile soluzione la revisione del Patto di stabilità e delle conseguenti sanzioni: sull’argomento la cancelliera Angela Merkel non ha – almeno per ora – avuto soddisfazione ma è improbabile che sia possibile negargliela nei mesi che verranno. La proposta tedesca è chiara: non si puಠ– il Trattato non lo consente e la Corte costituzionale tedesca ha già messo in guardia – venire in soccorso a Paesi che per loro responsabilità corrono verso il fallimento delle finanze pubbliche.
Una soluzione temporanea di emergenza era stata trovata per la Grecia, ma questo non sarà più possibile se la lista dovesse allargarsi a Irlanda, Spagna e Portogallo. Ancora meno se poi dovesse aggiungersi anche l’Italia. Di qui le proposte sul tavolo: inasprimento delle sanzioni per chi sfora il Patto di stabilità , loro esecuzione se non automatica almeno in tempi brevi (si parla di sei mesi) e possibilità di sospendere la capacità decisionale dei Paesi trasgressori, sospendendo il loro diritto di voto nell’UE.
Sotto i riflettori dei guardiani del rigore finanziario UE soprattutto il debito pubblico e, quindi, inevitabilmente l’Italia con il suo debito ormai quasi doppio di quello consentito (118% sul PIL rispetto al 60% tendenziale del Patto di stabilità ). La difesa di Giulio Tremonti – una vera e propria «linea del Piave» – fa perno sul calcolo del debito integrandovi anche quello privato: un calcolo che, grazie alla sobrietà dei cittadini italiani e nonostante il lassismo pubblico, metterebbe al riparo l’Italia da sanzioni insopportabili. A Bruxelles e alla Banca centrale questa trovata contabile non piace molto, ma è una speranza per ora non negata all’Italia. Si vedrà che cosa accadrà nei prossimi mesi, già sapendo che non aiuta la poca affidabilità attribuita al nostro Paese, in particolare in una congiuntura politica ad alta instabilità e con tensioni sociali crescenti.
Auguriamoci intanto che da Palazzo Chigi partano credibili direttive di governo per l’economia italiana al posto di telefonate private con uso di strutture pubbliche. A Bruxelles non intercettano le telefonate, per loro fortuna non guardano i nostri reality televisivi, ma leggono la libera stampa. E sanno!