L’attività diplomatica di questi ultimi giorni ha messo in evidenza quanto le ipotetiche prospettive di pace nei teatri di guerra mediorientali dividano la comunità internazionale e quanto siano cambiati i profili e i ruoli dei principali attori coinvolti.
Il primo esempio ci viene dal conflitto israelo – palestinese e dalla simbolica Conferenza di pace che si è tenuta a Parigi il 15 gennaio scorso. Una Conferenza voluta soprattutto dalla Francia che, onestamente e vista la situazione di stallo, non aveva l’obiettivo di portare al tavolo dei negoziati i diretti interessati, ma piuttosto quello di mantenere viva l’attenzione internazionale su questo conflitto e ribadire che “una soluzione negoziata con due Stati, Israele e Palestina, che vivano fianco a fianco nella pace e nella sicurezza, è l’unica strada per arrivare ad una pace duratura.”
Un estremo tentativo per salvare una prospettiva di soluzione che gran parte della comunità internazionale aveva difeso e sostenuto, ma che sembra diventare, da almeno tre anni a questa parte, una pia illusione. Israele, sfidando il diritto internazionale e le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU, ha proseguito la sua politica di occupazione della Cisgiordania, impiantando colonie e rendendo praticamente impossibile una omogenea geografia politica e umana di uno Stato palestinese.
Alla Conferenza si sono dati appuntamento circa 70 Paesi, coscienti del fatto che dall’altra parte dell’Atlantico Donald Trump stava scaldando i muscoli per insediarsi alla Casa Bianca. Trump, infatti, durante la sua campagna elettorale ha annunciato e ribadito a più riprese una radicale posizione in favore di Israele, orientato quest’ultimo verso una pericolosa soluzione a un solo Stato, con tutte le temibili conseguenze per la pace che ciò può comportare.
Le divisioni della comunità internazionale si sono infine concretizzate anche a Bruxelles, in occasione del Consiglio dei Ministri degli Affari esteri dell’Unione Europea del 16 gennaio, chiamato ad adottare il comunicato finale della Conferenza di Parigi. Con uno spettacolare cambiamento di posizione politica, la Gran Bretagna (ancora nell’UE), e altri Stati membri (Ungheria, Croazia, Bulgaria e Repubblica ceca) non hanno sottoscritto il testo, rifiutando in tal modo di ribadire la soluzione a due Stati, lasciando pericolosamente muta al riguardo l’insieme dell’Unione Europea.
Un altro appuntamento previsto per nuovi negoziati di pace riguarda quello sulla Siria del prossimo 23 gennaio ad Astana, in Kazakhstan. Con la caduta di Aleppo e la vittoria di Bachar al Assad, Russia, Turchia e Iran hanno preso in mano le redini del processo di transizione politica che dovrebbe portare alla fine della guerra e della violenza nel Paese. Benché l’iniziativa di pace sia stata sostenuta dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU con l’adozione all’unanimità di una Risoluzione alla fine di dicembre 2016, rimangono tuttavia nell’incertezza molti aspetti essenziali, come ad esempio quali saranno i rappresentanti dell’opposizione invitati a partecipare ai negoziati e quale sarà il futuro politico di Bachar al Assad stesso.
Benché la Risoluzione adottata contempli un ritorno dei negoziati sotto l’egida dell’ONU e consideri Astana un tappa intermediaria nel processo diplomatico in corso, vero è che una tale iniziativa ha completamente cambiato i rapporti di forza fra i principali attori internazionali e regionali in Medio Oriente: la Russia ha imposto la sua presenza e la sua leadership, mettendo nell’ombra, almeno fino all’arrivo di Donald Trump, il ruolo degli Stati Uniti nonché dell’Europa; la Turchia, membro della NATO, con l’appoggio di Mosca è riuscita a garantirsi una zona di sicurezza alle sue frontiere per contenere le aspirazioni dei curdi; l’Iran, potenza sciita nella regione, dopo un lungo periodo di isolamento internazionale e regionale ritorna decisamente a contare sullo scacchiere mediorientale, mettendo in tal modo in evidenza l’assenza araba e sunnita fra gli attori di questa nuova iniziativa di soluzione del conflitto siriano.
Parlare di pace in Medio Oriente, lo si è visto da tanti anni a questa parte, è cosa difficile e piena di ostacoli. Troppi gli interessi in gioco, sia da un punto di vista politico, religioso, militare, economico ed energetico. Ma una cosa è certa, e cioè che la pace in Medio Oriente comporta ancora altissimi prezzi e tempi molto lunghi.