Parità   di genere: missione possibile?

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«Eliminazione degli stereotipi legati al genere: Missione (Im)possibile?»: questo il titolo della Conferenza svoltasi a Brdo (Slovenia) il 31 gennaio scorso, con la partecipazione dei ministri per le pari opportunità   degli Stati membri dell’UE, dei candidati all’adesione e dei Paesi EFTA, sotto la supervisione del commissario europeo agli Affari Sociali, Vladimà ­r àƒâ€¦à‚ pidla.
La Missione Impossibile era – si legge nel comunicato della presidenza slovena, organizzatrice dell’incontro – «individuare possibili strade per eliminare i tradizionali ruoli e stereotipi legati al genere, in particolare nei settori dell’educazione, formazione, cultura e mercato del lavoro».
L’incontro si è focalizzato sui dibattiti relativi alla partecipazione delle donne alla società   e al rafforzamento della loro posizione, in particolare in politica e nei processi decisionali, all’affermazione del ruolo delle giovani donne nel mondo odierno, così come all’importanza delle politiche di genere nell’ambito della cooperazione allo sviluppo.
Recenti studi segnalano come l’investimento nell’istruzione delle giovani e delle donne porti a un sensibile aumento di tutti gli indicatori di progresso, e come l’istruzione delle ragazze sia uno dei mezzi più efficaci per promuovere lo sviluppo economico e culturale di un Paese. I dati statistici evidenziano poi che nell’Unione europea le donne hanno un livello d’istruzione più elevato degli uomini e rappresentano più del 60% della popolazione dotata di un livello di istruzione superiore. Ciononostante, le donne restano spesso segregate in settori e professioni tipicamente femminili e in posti di lavoro di livello (e salario) inferiore rispetto agli uomini.
Ha suscitato poi ampie discussioni il tema della partecipazione equilibrata di uomini e donne nel processo decisionale in materia politica. A questo riguardo si osserva un’evoluzione positiva negli ultimi cinque anni, ma la partecipazione femminile all’attività   politica cresce ancora troppo lentamente, soprattutto nel sud Europa. Secondo gli ultimi studi, il tasso medio di rappresentazione femminile nei Parlamenti degli Stati membri è pari al 23%, mentre sale al 33% per il Parlamento europeo. Il livello percentuale medio di donne ministre nei governi nazionali dei 27 Paesi UE è solo del 22%. In Italia, la presenza femminile alla Camera è del 17,3% e scende al 13,7% al Senato, con una media nazionale pari al 16,1%.
Il terzo tema discusso riguardava la promozione dell’uguaglianza dei sessi tramite la cooperazione allo sviluppo, nel quadro del rafforzamento della responsabilità   dell’Unione europea e degli Stati membri, in previsione dell’estensione delle misure a favore delle donne e dei loro diritti umani. «L’Unione europea – si è affermato nel corso dell’incontro – sostiene la partecipazione delle donne all’economia e ai processi decisionale in materia politica, e incoraggia il rafforzamento del ruolo delle donne nella prevenzione dei conflitti, lo stabilimento e il ristabilimento della pace».
Nel corso del dibattito, i partecipanti hanno ribadito il loro sostegno agli obiettivi di Lisbona relativi all’occupazione e all’eliminazione delle diseguaglianze tra i sessi, affrontando anche il problema della segregazione sessuale nell’istruzione.
«L’Europa non potrà   svilupparsi senza investire nelle persone e le loro potenzialità  », ha dichiarato Marjeta Cotman, ministra slovena del Lavoro, della Famiglia e degli Affari sociali, sottolineando come in Europa «abbiamo bisogno di donne attive, certamente, ma anche di uomini attivi».
In conclusione ai lavori si è ribadita l’importanza di un forte investimento europeo nella flexicurity come veicolo di rafforzamento dell’integrazione sociale e nelle politiche di mainstreaming, che prevedono «la sistematica integrazione delle rispettive situazioni, priorità   e bisogni di donne e uomini in ogni settore, mobilitando tutte le politiche generali e le misure specifiche per la promozione della parità   di genere, con l’obiettivo di raggiungere l’eguaglianza in tutte le sfere di attività   pubblica e privata». In sostanza, si tratta di «incorporare le pari opportunità   tra donne e uomini in tutte le politiche e attività   dell’UE»: ogni politica comunitaria deve contenere consapevolmente il principio di parità   ed essere valutabile per gli effetti che produce sugli uomini e sulle donne. Per fare ciಠoccorrono nuovi modi di leggere la realtà   economica e sociale, che rendano visibili le differenze, non solo per creare pari opportunità   ma anche per ricavarne vantaggi complessivi per la comunità  .
Sempre il 31 gennaio, il Parlamento europeo riunito in Plenaria ha ricordato che la messa in atto di una serie di principi comuni per la flexicurity deve integrare la dimensione di genere e, in proposito, ha elencato una serie di aspetti di cui occorre tenere conto, tra cui la sovrarappresentazione delle donne nei lavori atipici, la situazione specifica delle famiglie monoparentali, la conciliazione di vita familiare e professionale. «Il principio della parità   di trattamento tra donne e uomini deve essere rispettato in tutti i settori del mercato del lavoro e nella legislazione relativa al lavoro e all’occupazione. Occorre in particolare – hanno affermato gli eurodeputati – rafforzare il nostro impegno per eliminare le divergenze salariali tra gli uomini e le donne. Inoltre, un’evoluzione duratura richiede un investimento efficace nel capitale umano. Di conseguenza, sono necessari sistemi d’istruzione e di formazione capaci di reagire efficacemente alle necessità   del mercato del lavoro, così come un’istruzione per tutto il corso della vita e il miglioramento della formazione e delle competenze delle donne lavoratrici».

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