Pace , priorità per l’Unione Europea

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La Pace deve incontestabilmente essere per l’UE la prima priorità di questa stagione di grandi turbolenze nel mondo e di ritorno delle guerre ai confini dell’Unione, come nel caso dell’aggressione della Russia all’Ucraina e del conflitto israelo-palestinese, senza dimenticare il riemergere di una pericolosa guerra trasversale ad opera del terrorismo islamista.

Su questi fronti l’Unione Europea si è mossa con modalità e ritmi diversi. E’ stata finora relativamente compatta nella solidarietà all’Ucraina (salvo la solita Ungheria, da tempo ai bordi dell’UE), più incerta e divisa nella prima fase del conflitto israelo-palestinese, ora confortata dalla recente Risoluzione ONU in favore di un cessate-il-fuoco, mentre resta attenta alle possibili ricadute domestiche del terrorismo.
Complessivamente i Paesi dell’UE, purtroppo non legittimati da una politica estera e di sicurezza comune, si sono mossi nel quadro dell’Alleanza atlantica (NATO) senza potersi avvalere di una reale “autonomia strategica” rispetto agli Stati Uniti, pagandone pressioni e
indecisioni, in particolare in questa vigilia di elezioni presidenziali americane. Questo non ha impedito all’UE di dare forma alla sua solidarietà con misure e risorse destinate prevalentemente ad interventi umanitari e finanziari, come in particolare nel caso dell’immediata apertura delle frontiere ai milioni di profughi ucraini. Contemporaneamente il Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo ha proceduto a un progressivo rafforzamento delle sanzioni e ad un incremento dell’assistenza militare, grazie anche a dotazioni finanziarie straordinarie, gestite ai margini del bilancio comunitario. Tutto questo senza la trasparenza necessaria per consentire ai cittadini europei di valutare la coerenza di questi interventi con le disposizioni dei Trattati, aggravando la fragilità di una complessa – e ancora incompiuta – democrazia in seno alle Istituzioni comunitarie. In particolare queste misure sfuggono al controllo del Parlamento europeo, cui va però dato merito di
aver esercitato alla meglio i suoi poteri per accompagnare, più che contrastare, le decisioni del legislatore intergovernativo a Bruxelles.

Questa deriva delinea il contesto entro il quale si sono espressi gli attori politici europei, dentro un quadro a geometria variabile che ha visto alleanze puntuali tra le diverse Capitali: ne sono un esempio le faticose intese franco-tedesche o il recente format del “Triangolo di Weimar”, con il Presidente della Polonia, Donald Tusk, associato a Olaf Scholz e a Emmanuel Macron, tra i più preoccupati, con il Paesi baltici, sugli sviluppi futuri del conflitto.

In nessuna di queste occasioni è emersa con convinzione la prospettiva, sicuramente impervia, di un dialogo per promuovere trattative di pace. Ha finora prevalso la scelta di un crescente riarmo dei Paesi UE, mantenuta nei limiti di una “legittima difesa” da parte degli aggrediti, ma forse con poca visione di futuro, come inevitabilmente avviene quando le “pretese ragioni” dell’aggressore si trasformano rapidamente per troppi in una totale assenza di razionalità politica ed umana.

Purtroppo tutto questo avviene in presenza di un indebolimento di un diritto internazionale costruito dopo la Seconda guerra mondiale, quel “terzo soggetto” a cui Norberto Bobbio guardava per promuovere la pace tra i contendenti nel conflitto.
Le elezioni europee sono l’occasione per i cittadini di ripartire dallo Stato di diritto europeo, per rafforzarlo finché si è in tempo e riprendere la via della pace.

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