Orario di lavoro: non più di 48 ore settimanali

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Il Parlamento europeo ha approvato la revisione della direttiva sull’orario di lavoro, adottando a larga maggioranza una serie di emendamenti che respingono l’impostazione del Consiglio in particolare sul tetto massimo di ore lavorative, che non potranno quindi superare le 48 settimanali.
L’Europarlamento ha quindi bocciato la possibilità   di ricorrere alla deroga denominata «opt-out» che consente, a certe condizioni, di non rispettare la limitazione di 48 ore lavorative settimanali. Tale clausola era stata ottenuta a suo tempo dal Regno Unito ed è attualmente applicata in 15 Stati membri dell’UE: Bulgaria, Cipro, Estonia, Malta e Regno Unito consentono l’opt-out in tutti i settori, mentre Repubblica Ceca, Francia, Germania, Ungheria, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Slovacchia, Slovenia e Spagna lo consentono solo nei settori in cui vi è un esteso ricorso ai periodi di guardia. Con l’accordo raggiunto lo scorso settembre, il Consiglio aveva confermato questa possibilità   precisando che, in ogni caso, il consenso a lavorare più del massimo consentito non puಠsuperare 60 ore come media trimestrale o 65 ore, sempre come media su tre mesi, in assenza di un contratto collettivo e se «il periodo inattivo del servizio di guardia è considerato orario di lavoro».
Oltre a respingere l’opt-out, limitando a un massimo di 48 ore la durata media settimanale di lavoro in tutti gli Stati membri, il Parlamento europeo propone di considerare come orario di lavoro anche i periodi di guardia “inattivi”, ammettendo perಠche siano calcolati in modo specifico ai fini dell’osservanza del massimale settimanale.
La direttiva 2003/88/CE stabilisce requisiti minimi in materia di organizzazione dell’orario di lavoro, tra l’altro, in relazione ai periodi di riposo quotidiano e settimanale, di pausa, di durata massima settimanale del lavoro e di ferie annuali, nonchà© su alcuni aspetti del lavoro notturno, del lavoro a turni e del ritmo di lavoro. La stessa direttiva prevede una clausola di revisione cui si è attenuta, nel 2003, la Commissione. Il Parlamento si è pronunciato in prima lettura nel 2005, ma il Consiglio non è stato in grado di definire una propria posizione in materia fino allo scorso mese di settembre (con il voto contrario di Spagna e Grecia e l’astensione di Belgio, Cipro, Malta, Portogallo e Ungheria). Ora, dopo il lavoro in commissione europarlamentare, è giunto il voto dell’Aula che ha di fatto respinto le richieste del Consiglio. Dovrà   quindi essere convocato il comitato di conciliazione con l’incarico di trovare un accordo tra i due rami legislativi.

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