Nuove generazioni per una nuova Europa

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Le elezioni europee che si sono appena concluse hanno disegnato una mappa parzialmente nuova dell’Unione Europea, meno nella composizione del nuovo Parlamento, di più per gli scossoni registrati in Paesi membri importanti. Può essere interessante chiedersi quali classi di età abbiano maggiormente contribuito a questi esiti, in particolare quale sia stato il contributo delle generazioni più giovani. La risposta è modulata diversamente a seconda dei 27 Paesi membri, ma è già significativo fotografare quanto avvenuto in alcuni di essi, come  Francia, Germania, Italia, Spagna e Svezia. 

Complessivamente sembra che in Europa il voto giovanile non sia stato estraneo all’alta percentuale di astensione e questo nonostante un atteggiamento largamente positivo dei giovani nei confronti delle Istituzioni europee, a riprova probabilmente della “dimensione nazionale” del voto. E’ probabile che giochi anche in questo differenziale tanto la complessità istituzionale e politica dell’UE che la mancanza di una memoria storica a proposito delle ragioni che furono all’origine del processo di integrazione a metà del secolo scorso.

Nei Paesi considerati, il voto giovanile ha colori politici diversi, prevalentemente spalmati nell’area progressista in Italia, una confortante eccezione, polarizzati invece tra gli estremi, con prevalenza delle destre, in Francia, Germania, Spagna e Svezia.

In Italia, i tre partiti dell’auspicato “campo largo”, hanno portato a casa il 51% degli elettori nella fascia 18-29 anni: nell’ordine, il Partito democratico (18%), Cinque stelle (17%) e Verdi e Sinistra (16%); distanziati Fratelli d’Italia (14%) e Forza Italia (9%). 

In Francia e Germania emergono due situazioni molto diverse: con la Germania per la prima volta aperta al voto dei sedicenni, e la Francia senza cambiamenti di età: la prima con un flusso importante di voti giovani in provenienza dalle regioni orientali, posizionati fortemente all’estrema destra, e la Francia con un significativo contributo giovanile all’ondata delle destre, estreme comprese. Qui i giovani tra i 18 e i 24 anni hanno votato per la destra del Rassemblement national al 32%, contro il 26% degli over 65, mentre un altro 20% dei giovani è andato all’estrema sinistra.

In Germania è avvenuto qualcosa di analogo, ma con una minore polarizzazione che vede il voto giovanile (16-24 anni) distribuito in misura eguale al 17% tra conservatori ed estrema destra, ma con un incremento per questi ultimi del 12% rispetto al 2019. Perdono invece il 23% dei voti giovanili i Verdi, mentre restano stabili quelli destinati ai socialdemocratici.

In Spagna un elettore giovane su cinque ha votato per l’estrema destra, con il Partito socialista primo sul podio per i giovani di 18-24 anni e il secondo, dopo il Partito popolare, nella fascia 25-34.

In Svezia la destra nazionalista è stata votata dal 10% degli elettori tra i 22 e i 30 anni, incrementando del 6% il numero degli elettori tra i 18 e 21 anni, passando dal 9% del 2019 al 15% delle ultime elezioni europee.

La grande frammentazione del voto nei Paesi UE, unitamente a sistemi elettorali diversi e a campagne di tenore prevalentemente nazionale, rendono difficile un giudizio sugli orientamenti politici delle giovani generazioni europee nei confronti del progetto di integrazione comunitaria. Sembra di capire che ad un significativo apprezzamento dell’UE in generale, una realtà spesso data per scontata, non segua un largo consenso alle sue politiche e pesi la distanza tra cittadini e Istituzioni della democrazia rappresentativa e, forse, più ancora una diffusa disaffezione alla politica, tanto a livello nazionale che europeo. 

Sintomi tutti di un male sottile che rischia di indebolire domani una democrazia, già in precaria salute oggi, tanto nei Paesi membri UE che nelle Istituzioni comunitarie.

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