Nuova tensione in Kosovo

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Si è risvegliata nei Balcani la tensione che tiene in allerta la comunità internazionale, in particolare in quella piccola regione a nord del Kosovo, incastonata nella frontiera  con la Serbia e abitata da una popolazione in maggioranza di etnia serba. 

Una nuova fiammata di violenza, forse fra le più intense di questi ultimi anni, che ha coinvolto la popolazione locale serba e i militari della KFOR, la forza internazionale NATO, presente dal 1999 e incaricata di sostenere e proteggere un processo di pace difficilmente raggiungibile. Una violenza che riesplode regolarmente e che affonda le sue radici in un lontano passato, ma che oggi riveste un aspetto nuovo e inquietante proprio perché lo scontro coinvolge le forze NATO, la cui missione è riconosciuta come elemento centrale per la sicurezza di tutte le comunità presenti in Kosovo.

Questa volta, la scintilla che ha dato fuoco alle polveri sono state le elezioni di sindaci di nazionalità albanese nelle municipalità a maggioranza serba, un’elezione ignorata e ostacolata dai cittadini serbi e che, negli scontri, ha lasciato sul terreno più di ottanta feriti, di cui trenta militari internazionali della KFOR, fra cui undici italiani. 

Sono molte le ragioni, di più ampio respiro politico, che hanno portato a questa ennesima scintilla che sta rischiando di destabilizzare la regione. In primo luogo la memoria della guerra del 1999 con l’intervento della NATO, la conseguente installazione della KFOR e, dal 2008, la dichiarazione di indipendenza del Kosovo dalla Serbia, di cui precedentemente faceva parte in quanto provincia autonoma. Un’indipendenza irrisolta e mai riconosciuta non solo dalla Serbia, ma anche da una parte della comunità internazionale e europea. Non solo, ma la solida resistenza della maggioranza serba per il controllo del Kosovo del Nord e la reticenza ad integrarsi nelle strutture statali e amministrative di un Kosovo indipendente, alimentano continuamente tensioni e conflitti, come appunto quelli scoppiati in questi ultimi giorni.

Sono anni che, dietro le quinte, la diplomazia europea cerca di mediare su queste pericolose tensioni, senza tuttavia giungere a qualcosa di più concreto e impegnativo fra Belgrado e Pristina. Un passo importante sembrava raggiunto lo scorso febbraio quando, a Bruxelles, il Presidente serbo Aleksandar Vucic e il premier kosovaro Albin Kurti giunsero ad un accordo verbale volto a intraprendere la strada della normalizzazione delle relazioni fra i due Paesi. Un accordo rimasto purtroppo in sospeso e non tradotto in un più solido impegno di lungo respiro.

Infine, queste nuove tensioni si inseriscono in un contesto internazionale segnato in particolare dalla guerra della Russia in Ucraina, le cui ombre si allungano minacciosamente sull’insieme della regione dei Balcani e sulle sue irrisolte fratture. La Russia, ha legami storici con la Serbia e non ha certamente dimenticato né la recente storia che ha portato all’indipendenza del Kosovo, né il sostegno della NATO e dell’Occidente al riguardo. 

Se, da una parte, l’Unione Europea ha invitato i due Paesi a trovare un accordo, a stabilire rapporti di pace e di dialogo e a frenare una possibile escalation, dall’altra la Russia ha fornito il proprio appoggio alle proteste dei serbi, sottolineando che questi ultimi “stanno combattendo per i loro diritti nel Nord del Kosovo”. Una situazione pericolosa, che potrebbe riaprire le ferite mai rimarginate dei Balcani.

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