Non cala la tensione fra Europa e Russia

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Dire che il nostro mondo si è fatto molto complicato è sicuramente una banalità  . Così come lo è dire che l’Europa si trova dentro un groviglio di intrecci difficili da sciogliere. Ma accade che la somma di due banalità   possa generare un quadro che merita qualche riflessione non banale. A più riprese si è fatto cenno ai rapporti problematici dell’UE con gli USA e a vecchi e nuovi contenziosi, dalla guerra in Iraq al protocollo di Kyoto sui rischi ambientali fino al commercio internazionale. Tensioni non facili da risolvere ma pur sempre contenziosi tra alleati e per di più alla vigilia di un probabile cambio di Amministrazione americana con migliori prospettive di dialogo multilaterale.
Minore attenzione si è dedicata invece ad un vicino non proprio – o non ancora – alleato dell’Occidente, reduce da una storia traumatica di dissoluzione territoriale e di ambigue evoluzioni politiche: quella Russia di Putin piena di nostalgia per il ruolo di superpotenza dell’epoca sovietica e decisa, nelle mutate condizioni del mondo di oggi, a ritagliarsi un profilo da protagonista tra gli USA in difficoltà  , l’UE alla ricerca di una problematica solidarietà   politica al suo interno e l’emergenza di nuovi giganti come la Cina, l’India e il Brasile.
C’era tutto questo sullo sfondo del vertice della settimana scorsa a Samara, sulle sponde della Volga, tra la Russia di Putin e l’UE guidata da Angela Merkel. Sul tavolo non mancavano contenziosi di peso: dal riconoscimento della quasi-indipendenza del Kossovo sostenuta dall’Ue e osteggiata dalla Russia (che pensa alla «sua» Cecenia), al tema sensibile del rispetto dei diritti umani fino a contenziosi più recenti relativi ai rapporti con i Paesi baltici, con la Polonia o innescati dal nuovo progetto di scudo spaziale americano che rischia di avvelenare non poco i rapporti della Russia con gli USA, la NATO e l’UE.
Non stupisce che un menù del genere non fosse facile da digerire e infatti così è stato: gli illustri commensali si sono lasciati con la cordialità   imposta dalla diplomazia ma senza trovare intese significative. Sulle pretese russe rispetto a vicende interne ai Paesi Baltici – dove vivono consistenti minoranze russe – la Merkel ha opposto la solidarietà   dell’UE tutta intera con i tre piccoli paesi che ci hanno raggiunto nel 2004 e analoga risposta ha dato a protezione della Polonia danneggiata da un embargo russo sul commercio delle carni.
Più complicata la vicenda dello scudo spaziale che irrita la Russia ma imbarazza anche – e non poco – l’UE: il progetto USA di realizzare una difesa antimissile contro attacchi terroristici con l’installazione di intercettori in Polonia e di radar nella Repubblica ceca divide l’UE e vede stranamente assente la NATO, a riprova di quanto resti pericolosamente irrisolto sul nostro continente il problema della sicurezza.
Nà© su tutti questi fronti la Russia si presenta inerme: a parte gli arsenali militari ancora ben forniti, l’arma che Putin brandisce è quella dell’energia da cui l’Europa dipende. E per far capire che non scherza ha cominciato a tagliare rifornimenti importanti alla Lituania, come per vedere l’effetto che fa, e a progettare oleodotti dall’Asia centrale che tagliano fuori gli «inaffidabili» Paesi del Caucaso e la Turchia, permettendo alla Russia di tenere puntata sull’UE la pistola delle forniture energetiche.
E perchà© il messaggio fosse ancora più chiaro il vice-primo ministro Ivanov, presentato come uno dei possibili successori di Putin l’anno prossimo, ha insistito sull’importanza dell’Asia del Sud-est e della regione del Pacifico nello sviluppo economico globale, riprendendo l’allusione non proprio innocente di Putin sul fatto che il PIL cumulato delle economie di Cina, India e Brasile superavano di molto quello dell’UE.
Certo, nemmeno l’UE è disarmata quando si pensa che rappresenta per la Russia il 52% del suo commercio e il 70% degli investimenti stranieri. Il rischio che l’arma europea abbia le polveri bagnate viene all’UE dal suo interno, paradossalmente proprio da quei Paesi, Polonia in testa, cui la Merkel la settimana scorsa ha riconfermato la solidarietà   dell’UE.
Con la speranza che da quei Paesi l’UE venga ricambiata.

1 COMMENTO

  1. Se un cittadino qualunque si pone di fronte ai problemi che emergono dal quadro internazionale, non può che sentirsi schiacciato da qualche cosa che non solo lo sovrasta, ma che non è neppure in grado di capire anche se ne è informato in modo credibilmente onesto. Ciò che però rende più inquietante tutto il sistema è che lo stesso cittadino sa di essere parte di un’Europa palesemente in crisi e di non credere nella classe politica che la governa come nella cittadinanza di cui è parte. Non è detto che la “debolezza palese” del contesto europeo sia in sé un male. Ogni “grande costruzione” politico-socile ha bisogno di molto tempo per arrivare ad un equilibrio che le permetta di parlare ad una voce e di condividere ideali, ma oggi il tempo non c’è. L’Europa dovrebbe già  essere politicamente compiuta per poter contare davvero e far sì che la comunità  internazionale debba tenere conto del suo punto di vista e soprattutto del suo modello sociale, politico ed economico.
    Eppure guardare sconsolati non serve, tanto vale continuare a costruire una briciola di quella “cittadinanza” che in sogno potrebbe servire e questo è già  un atto politico!

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