Movimenti di rivolta in Bangladesh

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In questa estate rovente più che mai segnata dai cambiamenti climatici e in cui le guerre in corso mandano segnali che lasciano il fiato in sospeso per i possibili sviluppi e le pericolose e imprevedibili escalation, nuovi conflitti e tensioni non risparmiano altri Paesi sparsi per il mondo.

In un contesto sempre più globalizzato e interconnesso, vale la pena orientare i riflettori dell’attualità internazionale sul Bangladesh, Paese di 170 milioni di abitanti, quasi completamente incapsulato nell’India con più di quattro mila chilometri di frontiere e indipendente dal 1971 dal Pakistan.

Dalla storia complessa e movimentata, dal 2009 il Bangladesh è stato governato da una donna dal pugno di ferro, Sheikh Hasina, fuggita in India alcuni giorni fa in seguito a ripetute proteste e manifestazioni degli studenti e dei giovani bangladesi, in tutto il Paese e soprattutto nella capitale Dacca. 

La ragione che ha dato fuoco alle polveri è stata la decisione, il 6 giugno scorso, della Corte suprema del Bangladesh di reintrodurre il sistema di quote, circa il 30%, nei lavori della pubblica amministrazione riservate ai discendenti di coloro che hanno combattuto nella guerra di indipendenza contro il Pakistan. Una misura che i giovani hanno sempre contestato e considerato ingiusta e pericolosa per due ragioni: primo, non contribuisce a sanare vecchie ferite di una guerra di indipendenza nella società bangladese e secondo si inserisce in un contesto di forte disoccupazione giovanile che si aggira intorno al 40%. 

Una decisione che ha fatto tuttavia traboccare il vaso di un diffuso malcontento dovuto alla costante violenza del regime, alla repressione, al non rispetto dei diritti umani e alla corruzione. Una situazione che si inserisce in un tessuto economico fragile, anche se in rapida crescita, segnato in particolare da una forte inflazione e da un pesante debito estero.

Le proteste di questi ultimi giorni hanno in ogni caso superato il problema delle quote e hanno posto l’esigenza di un potere diverso, aperto ad una transizione democratica, alle riforme politiche ed economiche, alle libertà e ai diritti, alla convivenza civile e religiosa. 

Richieste pagate a caro prezzo, con una brutale repressione, decine di vittime e centinaia di arresti, ma richieste che hanno tuttavia aperto uno spiraglio di cambiamento per il futuro. L’esercito del Bangladesh ha accolto gran parte delle posizioni del movimento degli studenti e ha sostenuto la formazione di un nuovo Governo di coalizione ad interim guidato dal Premio Nobel per la pace del 2006 Muhammad Yunus. 

Yunus è ricordato a livello internazionale come “il banchiere dei poveri”, colui che istituì la Grameen Bank e inventò il microcredito per combattere la povertà. Sosteneva infatti che la povertà priva gli esseri umani dei loro diritti e che il microcredito debba essere considerato proprio come un diritto umano. 

Ora Muhammad Yunus è chiamato a formare e a impostare un Governo provvisorio, a portare il Paese a prossime elezioni parlamentari, a ricostruire la fiducia della popolazione nelle Istituzioni e a sostenere lo sviluppo economico. Le sfide sono enormi anche sul piano esterno: la stabilizzazione o meno del Bangladesh e la sua posizione geostrategica nell’Indo Pacifico sono oggetto di particolare interesse per i grandi e rivali attori globali, dagli Stati Uniti all’India, dalla Cina al Pakistan e alla Russia. Non sarà facile quindi per il nuovo Presidente traghettare il suo Paese e la sua fragile “primavera”, verso acque più calme e più democratiche.

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