Ci sono voluti gli ultimi voti della diaspora moldava, 13.000 voti in tutto, per capovolgere un risultato temuto e inquietante. Il referendum tenutosi in Moldavia domenica scorsa sull’adesione o meno del Paese all’Unione Europea, ha ottenuto infatti solo il 50,3 % dei Sì, un risultato che contiene tutte le incertezze di un momento politico e geopolitico molto sensibile per la piccola Repubblica, situata a ridosso dell’Ucraina. Si trattava di un referendum indetto proprio per offrire ai cittadini la legittima possibilità di scegliere con sicurezza il percorso politico da intraprendere nel futuro.
Il quesito posto dal referendum chiedeva ai cittadini se fossero d’accordo di iscrivere nella Costituzione del loro Paese l’obiettivo europeo, nonché l’irreversibilità del percorso di adesione e di integrazione europea. Un quesito posto a metà strada fra la scelta europea e quella, non detta, di uscire dall’influenza russa e la cui risposta, in primo luogo, è stata quella di un popolo diviso, inquieto e incerto sul suo futuro.
Nello stesso giorno del referendum si tenevano anche le elezioni presidenziali che hanno confermato la tendenza del referendum. La Presidente uscente, Maja Sandu, che ha guidato finora il Paese con convinzione europea e promotrice del referendum, ha ottenuto il 41,9% dei voti, una percentuale insufficiente che la porterà al ballottaggio del prossimo 3 novembre contro Alexandru Staianoglo, primo avversario di una serie di candidati presidenziali filorussi. Un ballottaggio il cui risultato segnerà il destino della Repubblica di Moldova e dell’insieme della regione.
Due risultati simili che, se da una parte interrogano profondamente l’Unione Europea sulla sua politica di adesione, in particolare in un contesto di guerra, di relazioni esterne e di sicurezza, dall’altra vengono percepiti come fortemente segnati dalle ingerenze della Russia, particolarmente interessata a far fallire il progetto europeo della Moldavia. Si legge infatti, nel deciso comunicato ufficiale dell’UE al riguardo, che “la Russia e i suoi delegati hanno cercato attivamente di minare il processo democratico e di voto in Moldavia” e che il Paese è l’obiettivo di una “guerra ibrida” in corso, diretta dall’estero, che comprende varie forme di interferenza manipolativa, di finanziamenti illeciti e di campagne di disinformazione.
Al riguardo, non va inoltre dimenticato che questo referendum ha ridestato l’attenzione sulla Transnistria, regione separatista della Moldavia, dove la Russia ha ancora circa 1.500 soldati e ospita oltre 220.000 cittadini russi. Una situazione che, come ci ricorda l’Ucraina, potrebbe destabilizzare l’intera regione e senza dubbio, rappresentare un potenziale ostacolo nei futuri negoziati di adesione all’UE.
Dopo gli scrutini in Ucraina, i riflettori si riaccenderanno il 26 ottobre anche in Georgia, dove si terranno le prossime elezioni parlamentari. Tra un Governo conservatore, sempre più autoritario e vicino al Cremlino e un’opposizione con gli occhi rivolti all’Europa, anche i georgiani si giocheranno il futuro democratico del loro Paese. Con un brivido di inquietudine supplementare, visto che Bruxelles, se non ci sarà un’inversione del corso politico nel Paese, ha già minacciato di sospendere e di bloccare la strada di Tbilisi verso l’adesione. E questo anche se la Costituzione della Georgia definisce l’ingresso nella famiglia europea ed euro-atlantica come obiettivo strategico per il Paese.