L’UE sul fronte caldo di un pianeta al collasso

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È in corso fino al 12 dicembre a Dubai, negli Emirati arabi uniti, il 28mo Vertice mondiale sull’azione per il clima, conosciuto con la sigla COP 28. Non è quindi il primo Vertice sul tema e non sarà l’ultimo, almeno fino a quando questo pianeta sarà abitabile, anche se sarà meglio non perdere altro tempo ad adottare soluzioni per la sua salvaguardia.

Il tema della salvaguardia ambientale è stato sollevato a livello mondiale fino dal 1992 alla Conferenza di Rio de Janeiro con la presenza di 172 Paesi, diventati a Dubai 187: sono nel tempo cresciuti i Paesi partecipanti, purtroppo è anche cresciuto il surriscaldamento climatico e le previsioni sono che continuerà a crescere, con il rischio di vedere collassare un pianeta che si sta avvicinando pericolosamente al punto di rottura, come ricordato anche da papa Francesco in apertura della sua Esortazione apostolica “Laudate Deum”.

Partecipano al Vertice i Paesi UE e la Commissione europea che si è molto impegnata per imprimere una svolta alle politiche ambientali portando l’Unione Europea all’avanguardia delle misure adottate, con l’obiettivo di raggiungere il traguardo di zero emissioni di gas serra entro il 2050.

Vale la pena ricordare che l’impegno dell’UE sul fronte caldo delle politiche ambientali si è manifestato già nel 1972 al Consiglio europeo di Parigi, è entrato nei Trattati come competenza specifica dell’Unione negli ultimi anni del secolo scorso, fino a far figurare nel 2009 nel Trattato di Lisbona, attualmente in vigore, l’obiettivo della “promozione sul piano internazionale di misure destinate ad affrontare problemi regionali o planetari dell’ambiente e, in particolare la lotta contro il cambiamento climatico”. 

Dopo tutti questi anni è il momento di un primo bilancio e di una valutazione delle proposte che in questi giorni l’UE porta alla COP 28 a Dubai.

Senza andare troppo lontano nel tempo è da segnalare la forte iniziativa lanciata dall’UE a fine 2019 con il “Piano verde” (Green deal), con una serie di proposte ambiziose, all’origine dell’entrata in vigore della “legge clima” con misure vincolanti volte a ridurre le emissioni del gas serra del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.

Le ambizioni comunitarie non possono però avvalersi di una competenza esclusiva dell’UE che deve condividerne la realizzazione con i governi nazionali che stanno opponendo sempre più resistenze, sensibili ad una opinione pubblica che da una parte manifesta crescenti preoccupazioni per il surriscaldamento climatico ma non sembra disponibile ad affrontare i sacrifici che le misure europee richiedono. E’ quanto accade con il previsto efficientamento energetico per case green, volto ad avere entro il 2030 gli edifici nuovi a emissioni zero o con il divieto di immatricolazione di auto a combustione a partire dal 2035.

E così l’UE si presenta alla COP 28 orgogliosa di quanto ha fatto finora, ma anche indebolita dalle resistenze dei suoi Stati membri. Situazione che non impedisce all’UE di chiedere di triplicare la capacità globale di energia rinnovabile e  duplicare l’efficienza energetica entro il 2030. Questa spinta sarà accompagnata da un congruo contributo finanziario ai Paesi in difficoltà di sviluppo perché riducano la loro dipendenza dalle energie fossili, quelle cioè che arricchiscono da sempre i grandi produttori di petrolio e gas, come nel caso delle regioni dove si tiene questo Vertice, presieduto tra l’altro proprio da uno dei principali produttori arabi di petrolio.

Facile constatare che per la COP 28 si tratta di una strada in salita, con un Vertice che riunisce Paesi con interessi spesso contrastanti e con una leadership mondiale poco coraggiosa ad affrontare il problema ambientale. 

Meglio che se ne occupino i cittadini-consumatori, prima che sia troppo tardi.

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