Vista da Bruxelles, dove nei giorni scorsi sono tornato per motivi di lavoro, l’Italia appare come un oggetto un po’ misterioso che suscita curiosità e qualche apprensione.
Paese fondatore della prima Comunità europea all’inizio degli anni ’50, guidata per molti decenni da governi saldamente ispirati ad una politica europeista, l’Italia di questo ultimo decennio ha mandato a Bruxelles segnali contrastanti, se non addirittura contraddittori.
Clamorosa, benchà© effimera, la svolta annunciata dal Governo di centro-destra nel 1994, quando l’allora Ministro degli Esteri (e oggi, forse non a caso, alla Difesa) cercಠdi spostare l’Italia dalla tradizionale alleanza nell’UE con l’asse franco-tedesco a quella con la Gran Bretagna, magari guardando con particolare interesse – già allora non ricambiato – al più importante alleato americano. Si trattಠdi una piroetta che lasciಠsconcertati i nostri partners europei. Certo non apprezzarono i nostri tradizionali alleati, ma nemmeno ci credettero seriamente i nuovi, tutti ancora memori dei passati mutamenti di alleanze nella storia d’Italia.
Con il ritorno dei Governi di centro-sinistra la nostra politica europea ritornಠsui binari tradizionali, pagando il prezzo di una dura disciplina di bilancio per consentire all’Italia di salire sul primo treno dell’euro con il Governo di Prodi-Ciampi. La riuscita di quel difficile risanamento sorprese non poco Bruxelles dove più d’uno pronosticava – e magari anche sperava – un’Italia fuori dalla moneta unica e quindi esclusa dal gruppo di testa dell’UE.
Nel 2001 l’Italia, guidata dall’attuale Governo, riprese il cammino interrotto nel 1996 discostandosi giorno dopo giorno, prima quasi impercettibilmente e poi in modo sempre più vistoso, dal tradizionale solco europeista dell’Italia del dopoguerra, segnalandosi per una crescente infrazione alle regole convenute a Bruxelles. Ne sono un’ultima riprova i recenti attacchi all’euro, prima accusato di tutti i mali della nostra economia (e chissà poi perchà© solo della nostra, tra i dodici Paesi dell’euro?) poi denunciato per il livello di cambio convenuto e che pure aveva protetto la capacità commerciale dell’Italia.
Ma la settimana scorsa a Bruxelles l’attenzione di tutti era puntata, forse persino con più apprensione che in Italia, sul confronto tra i leaders dei due schieramenti nella campagna elettorale con un interrogativo che prevaleva su tutti: tornerà l’Italia a riprendere credibilità e ruolo nell’Europa dei 25 e domani di 30 Paesi che hanno scelto un destino comune o proseguirà con una politica ondivaga, più sensibile all’alleato di oltre-Atlantico che non ad una solidarietà continentale? Superfluo registrare che a Bruxelles, dove pure la prudenza e la precauzione della diplomazia tendono a sfumare il giudizio, l’ex-Presidente della Commissione europea ha riscosso larghissimo apprezzamento e alimentato speranze sul futuro dell’Italia, Paese da cui dipende non poco anche il futuro dell’Europa.
Facile, dirà qualcuno, quando si gioca in casa. Mica tanto, quando in quella casa ci si ritorna e tutti guardano se ne varchi con decisione la soglia o se invece ti ci infili come in una porta girevole.
Franco Chittolina
Eppure, nonostante sia così evidente il disagio che molti europei provano nei confronti dell’attuale esecutivo, nonostante le ripetute figuracce del premier, nonostante che questo esecutivo sia riuscito a far convocare per protesta più ambasciatori di qualsiasi altro (a braccio: Germania, Olanda, Finlandia, Afghanistan, Libia e altri che ora non mi sovvengono) ancora oggi la maggioranza degli italiani ritiene che Berlusconi sia più adatto di Prodi a mantenere alto il nome dell’Italia nel mondo. Questo a riprova del fatto che le notizie e i sentimenti che viaggiano per l’europa siano ancora troppo soggetti a filtri, filtri da rimuovere se davvero si vuole costruire un futuro comune, visto che questo va costruito sulla conoscenza reciproca.
Altro punto che mi piacerebbe sottoporre a dibattito: penso che se davvero l’Europa voglia giocare nel grande scacchiere mondiale il ruolo che merita, e cioè il ruolo di una grande potenza indipendente dall’amico americano, ed evitare inoltre pericolose fughe verso ovest come quella italiana del 2001 ma non solo, pensiamo alla Gran Bretagna o alla Polonia, non possa prescindere dal dotarsi di uno strumento ovvio eppure di difficile creazione: ovvero di un Esercito Europeo che le permetta, dopo più di 60 anni, di affrancarsi dalla NATO.