L’inflazione a tavola in Europa

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A chi va a fare la spesa non sarà sfuggito che i prezzi salgono quando aumenta l’inflazione, ma non sempre scendono quando questa si riduce, un fenomeno che si manifesta soprattutto per la spesa alimentare. 

Non sembra essere solo un’impressione, vi sono dati che lo testimoniano, come quelli arrivati di recente da Eurostat, l’Ufficio statistico dell’Unione Europea. Già in gennaio l’inflazione nell’UE era scesa, stabilendosi attorno al 10%, mentre meglio ha fatto la zona euro scendendo all’8,6%. Responsabili dell’aumento erano stati, a gennaio 2023, il prezzo dell’energia (+18,9%), dell’alimentazione (+4,1%), ma solo del 4,4% i servizi.

Si tratta di soglie medie, risultato di tassi d’inflazione molto diversi nei diversi Paesi UE: sotto il 10% in Spagna, Portogallo, Francia, Germania, Benelux e Paesi scandinavi, ma il 26,2% in Ungheria, il 21,4 % in Lettonia e il 19,1% nella Repubblica Ceca, mentre si collocavano a metà strada, tra 10% e il 15%, l’Italia, Austria, Romania e Bulgaria.

Tra i prodotti alimentari nel corso del 2022 si era registrata un’impennata media del costo del pane del 18%, con punte superiori al 30% nei sette Paesi dell’area orientale dell’UE, con un balzo del 66% in Ungheria.

Dentro questo quadro complessivo del movimento dei prezzi nell’UE si segnala in particolare l’aumento dei costi degli alimentari, pubblicati il 2 marzo scorso sempre da Eurostat, con numeri da brivido. L’aumento medio degli alimentari nella zona euro è stato in un anno del 15%, ma del 54% per lo zucchero e del 27% per il burro e il latte, segnando complessivamente un record assoluto dalla creazione dell’euro.

Questi alcuni numeri che, già da soli, dicono quanta sia la diversità tra i Paesi dell’UE, tutti confrontati con l’irruzione della guerra in Ucraina, la conseguente crisi dell’energia e le difficoltà di approvvigionamento di materie prime in provenienza dai territori devastati dal conflitto.

Romano Prodi, uno che di Europa ed economia se ne intende, si è interrogato in un suo editoriale di sabato scorso su questi dati sorprendenti. Come in Germania e in Francia, dove i beni alimentari hanno visto i costi raddoppiati rispetto all’inflazione media, peggio ancora la Spagna che se li è trovati triplicati, meglio l’Italia con i prezzi degli alimentari sopra l’inflazione media di due punti.

Da questi dati prende spunto Prodi per rilevare che “mentre si è verificato un immediato aumento dei prezzi al consumo, non si ha ancora un segnale di un andamento in senso opposto nei casi di ritorno alla normalizzazione dei mercati internazionali” e per constatare, non senza qualche tacita  malizia, che “negli ultimi sei mesi il prezzo all’ingrosso del grano è diminuito da 430 a 280 euro a tonnellata (il che significa di 28 centesimi al chilo) ma, almeno in Italia, il prezzo del pane non dimostra alcun segno di discesa rispetto ai precedenti aumenti, che pure sono stati molto superiori rispetto a quanto sarebbe dovuto accadere in conseguenza dell’aumento dei costi”. Un’osservazione che, riferita all’alimentazione primaria del pane, si salda con un’altra constatazione: “Il deterioramento del tenore di vita delle classi più deboli diventerà ancora più caldo nel prossimo futuro”. 

E non sarà un mercato aperto e libero, ma non governato, che potrà rimediare a queste derive, non bastando la pretesa “mano invisibile del mercato”, cara ad Adam Smith, molto meno a chi va al mercato a fare la spesa.

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