L’impossibile pace israelo-palestinese

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Era il 30 settembre scorso quando, alla sede delle Nazioni Unite a New York, è stata innalzata per la prima volta la bandiera palestinese. La Palestina era entrata all’ONU in quanto membro osservatore nel 2012 e, all’inizio del 2015, alla Corte Internazionale dei diritti dell’uomo.  Malgrado l’alto valore simbolico, l’innalzamento della bandiera si è svolto con una cerimonia molto discreta, quasi a velare il maggior insuccesso dell’ONU nei 70 anni della sua esistenza.

Il discorso pronunciato all’Assemblea Generale dal Presidente Abu Mazen non ha lasciato molti spazi per la speranza di una soluzione equa e pacifica del conflitto israelo-palestinese. Nel momento in cui chiedeva infatti alle Nazioni Unite di porre fine alla più lunga occupazione della storia, il Presidente ha anche annunciato che l’Autorità nazionale palestinese non si sentiva più legata al rispetto  degli Accordi di Oslo  del 1993. Accordi che rappresentavano il primo trattato di pace tra israeliani e palestinesi dal 1948 ed avevano come obiettivo il reciproco riconoscimento, il ritiro delle forze israeliane da alcuni territori palestinesi  e il Governo dell’Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

Questa era la possibile strada verso la pace e la coesistenza fra due popoli immaginata nel 1993. Da allora sono trascorsi 22 anni e la situazione sembra proprio arrivata al capolinea. Da parte palestinese si è consumata una spaccatura con l’elezione di Hamas nella Striscia di Gaza nel 2006 e le conseguenti  tre guerre con Israele ; da parte israeliana, l’occupazione dei territori palestinesi  è continuata senza interruzione e la presenza intransigente dei coloni in Cisgiordania  è, dal 1993, praticamente  triplicata, rendendo  sempre più irraggiungibile la prospettiva di uno Stato palestinese.

Questa mancanza di prospettive e di futuro, questa situazione di diritti sempre negati, di umiliazioni e sofferenze  inflitte ai palestinese, sono oggi non solo vissute nell’inaccettabile immobilismo politico che si è venuto a creare ma sono concretamente segnate dall’esasperazione israeliana sul tema della sicurezza e sulla volontà di controllo nei Territori della Cisgiordania : crescono infatti i muri di separazione, si installano pericolosi  sbarramenti , fili spinati e check point, spostando così a piacimento e  con logica di occupazione, “le frontiere”.

E’ in questo clima che la  giovane generazione  palestinese, proprio quella nata dopo gli Accordi di Oslo, la generazione più frustrata e delusa nelle prospettive di pace e giustizia,  ha riacceso le micce della rivolta, ha preso in mano i coltelli e si butta a capofitto contro gli israeliani sotto i muri, fra i fili spinati,  i check point e a Gerusalemme Est. Sono giovani che non rispondono ad alcuna organizzazione, ma sembrano agire spontaneamente con la forza della disperazione.

La situazione è tornata quindi ad essere di nuovo molto tesa. In un contesto mediorientale estremamente turbolento, attraversato da violente fratture religiose, da guerre e terrorismi, potrebbe diventare una situazione incontrollabile e molto pericolosa. Chissà se la comunità internazionale e l’Unione Europea in particolare troveranno, questa volta, gli strumenti politici e diplomatici necessari per allontanare Israele e Palestina dal caos che si profila di nuovo all’orizzonte e riportare qualche spiraglio di pace .

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