Era un cittadino del mondo papa Jorge Mario Bergoglio, con origini piemontesi e gioventù e attività pastorale in Argentina prima di approdare a Roma, diventando papa Francesco. Una traiettoria di vita che non aveva conosciuto confini, prima di territori e poi, via via, anche tra religioni e tra laici e credenti.
Indicato da alcuni come il “papa del Sud Globale” guardava quasi “da fuori” l’Europa cui dedicava un’attenzione particolare, a tratti severa ma non priva di sofferte aperture di credito. Ne sono traccia i suoi innumerevoli interventi sul tema, in particolare alla tribuna delle Istituzioni europee o in momenti solenni di commemorazioni storiche.
Lungi dall’essere un papa “eurocentrico” non aveva, come i suoi due immediati predecessori, una particolare preoccupazione che lo spingesse ad invocare le origini cristiane dell’Europa, forse molto più preoccupato per la prevalente dimensione europea della Chiesa, non sufficientemente in fase con il molto più vasto mondo moderno e contemporaneo.
Questo non vuol dire che abbia mancato di attenzione per questo nostro piccolo promontorio dell’Asia, da sempre teatro di guerre e in costante affanno nel reinventarsi in un progetto di nuova democrazia, ferita dalle cadute di umanità come quelle denunciate nel suo primo viaggio apostolico a Lampedusa nel 2013, a pochi mesi dall’inizio del suo pontificato per dire la sua vicinanza alle sofferenze dei migranti.
Alcuni di quei temi saranno ripresi l’anno successivo nelle due visite al Parlamento europeo e al Consiglio d’Europa dove il messaggio centrale fa perno sulla speranza, un tema che ritroveremo ogni volta che papa Francesco si rivolgerà all’Europa.
In particolare la speranza sarà il tema dominante del suo discorso ai Capi di Stato e di governo dell’Unione Europea in occasione del 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma, nel marzo 2017. Dopo aver ricordato la lungimiranza dei Padri fondatori che avevano “dato vita a quella realtà politica, economica e culturale, ma soprattutto umana, che oggi chiamiamo Unione Europea”, papa Francesco si interroga su quale sia “la speranza per l’Europa di oggi e di domani”.
La risposta è contenuta in una successione martellante di motivi di speranza: “L’Europa ritrova la speranza” a condizione che “l’uomo sia al centro e al cuore delle Istituzioni”; la ritrova nella “solidarietà che è anche il più efficace antidoto ai moderni populismi” e quando “non si chiude nella paura delle false sicurezze” perché “al contrario la sua storia è fortemente determinata dall’incontro con altri popoli e la sua identità è sempre stata un’identità dinamica e multiculturale”. E papa Francesco prosegue ancora ricordando che “L’Europa ritrova la speranza quando investe nello sviluppo e nella pace” e “quando si apre al futuro… ai giovani, offrendo loro prospettive serie di educazione, reali possibilità di inserimento nel mondo del lavoro”.
Ma la speranza di papa Francesco sa anche di dover fare i conti con un’Europa in crisi e in perdita di slancio umano e politico, convinto però che “la rassegnazione e la stanchezza non appartengono all’anima dell’Europa” che pure, davanti al Parlamento europeo, aveva chiamato “nonna Europa”.
Risuonerà così a lungo l’appello accorato di papa Francesco all’Europa nel discorso pronunciato in occasione del conferimento del premio Carlo Magno nel 2016: “Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti e letterati? Che cosa ti è successo Europa, madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?”.
Forse non è un caso che questo testamento giunga all’Europa da un papa extra-comunitario, proveniente da una famiglia di migranti, preoccupato fin dai primi giorni del suo pontificato per chi rischia la vita lontano da casa per cercare nuova vita.