Da sempre nella percezione dei cittadini l’Europa si muove e si fa a Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo, sedi istituzionali ma sono molte altre le città in cui hanno avuto luogo eventi rilevanti per la storia dell’UE. Ad esempio ci sono le «città dei Trattati» che hanno definito fino a pochi giorni fa le regole del funzionamento della macchina Europa (Roma, Maastricht, Amsterdam e Nizza), c’è la piccola Laeken (Belgio) dove prese avvio il processo di riforma delle istituzioni UE, c’è Francoforte sede della Banca Centrale Europea e c’è Berlino con il suo Muro, simbolo di divisione fino al 9 novembre 1989 e di anelito di unità e libertà dopo quella data.
Molti altri esempi si potrebbero fare, sino ad arrivare al Consiglio Europeo che si è chiuso sabato 12 dicembre con Bruxelles che si conferma sede istituzionale da dove i leader europei hanno guardato ad altre città sedi di decisioni e di scelte importanti per l’UE di domani e per i suoi cittadini. Fa tristemente eccezione in questo contesto lo sguardo poco europeo del premier italiano che, con un senso delle istituzioni quantomeno discutibile, ha usato, ancora una volta, quella sede per raccontare al mondo delle nostre vicende interne e di un imbarazzante scontro istituzionale.
Andando oltre l’imbarazzo non resta che leggere quanto accaduto in un ipotetico viaggio che, dall’orizzonte di Bruxelles, tocca Lisbona, transita a Stoccolma e arriva fino a Copenhagen, sede in questi giorni del vertice sul clima.
Lisbona è la città del nuovo Trattato UE la cui entrata in vigore è «accolta con favore» dal Consiglio Europeo che esprime giudizi positivi sul lavoro preparatorio compiuto dalla presidenza svedese, sulla nomina delle nuove figure istituzionali e sull’avvio, da parte della Commissione, di una «Consultazione pubblica sull’iniziativa dei cittadini». Resta da definire il quadro di funzionamento del Servizio europeo per l’azione esterna. il Consiglio «invita l’Alto rappresentante a presentare una proposta» da adottare entro l’aprile 2010.
Lisbona è anche la città dell’omonima Strategia, dell’Europa che entro il 2010 avrebbe dovuto diventare l’economia della conoscenza più competitiva al mondo, investendo in ricerca e sviluppo, aumentando dell’occupazione e combattendo della povertà . Tale strategia andrà rivista alla luce della crisi finanziaria, economica occupazionale e sociale di cui il Consiglio Europeo tornerà ad occuparsi nel febbraio 2010. Si sta già lavorando, perಠalla nuova Strategia «UE 2020» i cui cardini (sostenibilità delle finanze pubbliche, salvaguardia degli investimenti e del benessere sociale, realizzazione di mercati del lavoro inclusivi ed efficienti, rafforzamento della coesione economica, sociale e territoriale) vengono condivisi dal Consiglio.
Stoccolma è la città del programma per la creazione e lo sviluppo di uno spazio di libertà sicurezza e Giustizia recentemente varato e rispetto al quale il Consiglio sostiene la necessità di «concentrarsi sugli interessi e le esigenze dei cittadini e di coloro nei confronti dei quali l’UE ha una responsabilità » ribadendo che «la sfida da affrontare sarà quella di garantire, a un tempo, il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali e dell’integrità e la sicurezza in Europa».
E infine Copenhagen dove l’Europa vuole andare con una «posizione negoziale forte». Operazione riuscita, almeno fino ad ora, dal momento che la proposta licenziata dal Consiglio prevede una riduzione delle emissioni di Co2 entro il 2020 del 30% rispetto ai livelli del 1990 e l’adozione del piano «fast start» che stanzia 7,2 miliardi di euro in tre anni per aiutare i Paesi più poveri a contrastare l’inquinamento e il cambiamento climatico. Per gli anni successivi al 2012 entrerà a regime il sistema che prevede un impegno globale di 100 miliardi all’anno ispirato ad una possibile Tobin Tax sulle transazioni finanziare.
L’impegno UE non è senza condizioni e si concretizzerà solo se «anche gli altri Paesi industrializzati faranno altrettanto». La strada è dunque ancora lunga, viste le reazioni degli USA (contrari alla Tobin Tax e disponibili a più contenute riduzioni delle emissioni di Co2 del 17% rispetto al 2005) e della Cina (scettica sull’efficacia degli stanziamenti a breve termine)
Anche le ONG ambientaliste hanno espresso dubbi sulla concreta praticabilità dell’impegno UE e sul fatto che le risorse stanziante siano «nuove risorse e non vecchi aiuti allo sviluppo riciclati», mentre i Paesi in via di sviluppo riuniti nel G77 hanno definito le risorse stanziate «insignificanti».
Nonostante cià², alcuni elementi di positività nelle conclusioni del Consiglio ci sono: c’è in primo luogo la cifra totale che supera le aspettative della vigilia (ancora al vertice dell’ottobre 2008 si parlava di 6 miliardi in tre anni) e manda un segnale positivo al resto del mondo. C’è poi la compatta adesione di tutti gli Stati ad un accordo di contribuzione volontaria: tutti, con la sola eccezione della Grecia, sull’orlo della bancarotta, hanno voluto fare la loro parte, persino Lituania e Romania che hanno stanziato rispettivamente 10.000 e 5.000 euro annui. C’è, infine un inedito asse franco-britannico che regge la maggior parte dello sforzo UE (la Francia stanzia 1.600 milioni di euro e la Gran Bretagna ne impegna 1.260 al pari della Germania) e che sembra essere scaturito quasi al termine di una gara emulativa al rialzo in cui vince chi spende di più, così distante dalle polemiche che avevano visto le due sponde della Manica affrontarsi sui meccanismi regolativi dell’economia e della finanza.
Nella classifica degli stanziamenti l’Italia viene dopo Francia, Gran Bretagna, Germania e Svezia (che con 800 milioni di euro in tre anni contrae l’impegno più consistente rispetto alla popolazione) e chissà se il presidente del Consiglio definendo «generoso» un contributo di 600 milioni di euro in tre anni voleva fare uso dell’ironia che lo ha reso celebre nel mondo.