L’Europa alla prova dei vaccini

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Per l’Unione Europea le prove non finiscono mai ed è bene che sia così, se vuole crescere e rispondere alle attese dei suoi cittadini. Presa nel vortice della vicenda afghana e delle sue conseguenze per l’Occidente e confrontata da lunghi mesi di contrasto alla pandemia, l’UE si manifesta in tutta la sua complessità, malata di divisioni vecchie e nuove e alla ricerca di soluzioni condivise.

Ne è un’occasione esemplare l’atteggiamento dei cittadini europei sulla fruizione del vaccino anti-Covid, come rivelato da un recente sondaggio di Eurobarometro, strumento UE per misurare l’evoluzione dell’opinione pubblica europea, molto frammentata nei diversi Paesi UE su molteplici versanti, cui si aggiunge adesso anche il nodo del “dovere civico” a fronte di un’emergenza come la pandemia, ancora lungi dall’essere debellata.

Un giorno bisognerà raccontare con franchezza ed onestà il ruolo svolto dall’UE nel contrasto alla pandemia, nonostante le deboli competenze affidatele dai Trattati in materia di salute pubblica, sicuramente da rivedere in occasione di una auspicabile e urgente riforma dell’attuale Trattato di Lisbona, entrato in vigore a fine 2009, un’eternità in tempi di grandi cambiamenti come quelli che viviamo. 

Ad una prima reazione per sostenere e coordinare la ricerca scientifica era seguito l’impegno prima a difendere la libera circolazione e a coordinare l’approvvigionamento dei vaccini, con risultati non sempre brillanti, ma sicuramente migliori che se in merito si fosse scatenata una spietata concorrenza tra i Paesi membri, di cui pure ci furono limitati tentativi. 

Ci sarebbe voluto più tempo, forse troppo, per una risposta all’altezza della sfida: fu quella del Piano europeo di ripresa (Recovery Fund), dotato di risorse di dimensioni straordinarie, tradottesi per l’Italia in finanziamenti per poco meno di 200  miliardi di euro, quelli che stanno attivando il “Piano nazionale per la ripresa e la resilienza” (PNRR).

A questi sforzi non sembra aver corrisposto la collaborazione di fasce importanti di cittadini, dai No-vax a chi esita ad accedere al vaccino. Colpiscono a questo proposito i numeri di quanti hanno risposto positivamente alla affermazione “Tutti dovrebbero vaccinarsi contro il Covid 19, è un dovere civico”, disegnando con le risposte una non troppo sorprendente mappa della sensibilità europea in proposito. 

Nella classifica del “senso civico” nell’UE primeggiano, con poche eccezioni (Malta e Cipro) i Paesi presenti nell’Unione fin dal secolo scorso, con l’Italia in sesta posizione con il 76% di risposte positive, quasi 10 punti in più della media UE al 67%. A fronte di queste percentuali, incoraggianti anche se non ancora rassicuranti, fanno riscontro l’ultima decina di Paesi finiti in fondo alla classifica, in provenienza dal grande allargamento ai Paesi dell’Europa centrale ed orientale. Ne sono perno – e non è un caso – i Paesi della banda di Visegrad, sotto la soglia del 57%, la linea di demarcazione su cui si colloca la Polonia (non a caso con l’intrusa Austria) e, a seguire, Croazia e Romania con con il 52% e, in fondo alla fila, con la Bulgaria al 39% e la Slovenia al 40%, si posizionano appena sopra Repubblica ceca (50%), Ungheria (48%) e Slovacchia (44%).

Sarebbe un gioco da bambini colorare i diversi Paesi a seconda della loro risposta a Eurobarometro e scoprire una mappa d’Europa dove coincidono i Paesi a debole “senso civico” con i Paesi a forte prevalenza populista e sovranista, una mappa a sua volta sovrapponibile con gli ultimi arrivati nell’UE e non senza problemi a rispettare le regole della democrazia e della superiorità del diritto collettivo su quello individuale. Senza tuttavia esagerare nella severità del giudizio, quando si sa quanto recente sia in questi Paesi la scoperta del diritto individuale rispetto alla sbornia “collettivista” sofferta per decenni. 

1 COMMENTO

  1. Bravo Franco. Complimenti. La comprensione è la grande vitù per evitare la conflittualità e promuovere la maturita. Cordialmente.

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