Non per indulgere al «mal comune, mezzo gaudio» che nella crisi in corso poco consola, anzi; ma per allargare lo sguardo oltre i confini della provincia-Italia, capire che cosa sta capitando negli altri Paesi dell’UE e, magari, provare a intravedere quale impatto potrebbero avere le altre «stangate» sul futuro dell’economia europea.
Il quadro è complicato e anche molto confuso: meglio partire da qualche dato essenziale sullo stato di salute di alcuni Paesi UE e di lì risalire alle manovre di contrasto alla crisi.
Epicentro del terremoto in corso le disastrate finanze pubbliche dei Paesi europei, tanto che si tratti dei deficit annuali sul Prodotto Interno Lordo (PIL) o dei debiti sovrani contratti dagli Stati lungo gli anni.
Su entrambi i versanti le situazioni sono molto diverse: dai deficit esplosi con la crisi in Irlanda e Regno Unito e Spagna (rispettivamente 32,4%,10,3%, e 9,2%), quelli lasciati correre in Francia al 7% fino a quello relativamente sotto controllo dell’Italia, bloccato al 4,5% e a quello tedesco vicino alla soglia del Patto di stabilità con il 3,3%.
Anche più ampio lo spettro – in senso proprio e figurato – del debito pubblico che si è andato ingigantendo negli anni: da quello ancora molto contenuto di Paesi Bassi e Spagna attorno al 60% ( in linea con il Patto di stabilità europeo) a quello cresciuto poco sopra l’80% in Germania e in Francia e vicino al 100% di Belgio, Irlanda e Portogallo fino a quello «sfuggito di mano» dell’Italia (120%) e della Grecia, maglia nera con un debito del 143%.
A fronte di queste zavorre del debito sul PIL, vanno rilevate – e forse sono anche più importanti in questa fase – le forti differenze dei tassi di crescita del PIL: dal 3,4% della Germania, al 2,2% della Francia, all’1% dell’Italia fino alle percentuali negative, che annunciano recessione, del Portogallo (-2,1%) e della Grecia (-2,9%): tutti numeri appena rivisti al ribasso dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), con l’Italia che scende allo 0,8% nel 2011 e allo 0,7% nel 2012.
Per rispondere a questi indicatori di crisi, le manovre finanziarie nei Paesi UE ruotano attorno ad alcuni elementi comuni: aumento della pressione fiscale (in particolare attraverso la riduzione delle agevolazioni fiscali esistenti), congelamenti salariali nel settore pubblico, riduzione della spesa sociale e, in alcuni casi come in Grecia, riforma delle pensioni.
Altro elemento di possibili convergenze risiede nell’inserimento di una «regola d’oro» nelle Costituzioni nazionali con l’obiettivo di obbligare gli Stati – come è già il caso della Germania – a chiudere in pareggio i loro bilanci pubblici, non accontentandosi del vincolo posto dal Patto di stabilità UE a contenere il deficit attorno al 3%. Il tema è lontano dal fare l’unanimità per il timore di un’eccessiva rigidità delle politiche di bilancio, con la conseguente riduzione dei margini di manovra in caso di una congiuntura economica problematica. Ma si tratta di un vincolo fortemente voluto dalla Germania, quasi un «Dio lo vuole» come nelle antiche crociate contro gli infedeli, in questo caso contro i Paesi lassisti con le loro finanze allegre. Sembra esitare a procedere su questa strada il governo francese, più disponibile il governo spagnolo alle sue ultime prove di rigore; per l’Italia si vedrà , ma già sapendo quanto sia lunga la strada delle riforme costituzionali.
Dinanzi a un paesaggio diversificato come questo non stupisce che l’UE stenti a trovare una linea condivisa, tanto più in assenza di un’autorità federale responsabile del governo dell’economia e di una politica fiscale comune. Su quest’ultimo versante si assiste così a misure divergenti, dall’innalzamento delle aliquote IVA all’imposizione fiscale sulle grandi ricchezze: qualcosa a questo proposito ha fatto recentemente la Francia con una modesta tassa supplementare del 3% sulle «grandi fortune», ovunque in Europa arricchitesi in questi anni di crisi. In questo contesto, la contrastata proposta di Germania e Francia per una tassa sulle transazioni finanziarie (la ex Tobin tax) ha piuttosto l’aria di un diversivo elettorale, in vista delle prossime elezioni francesi nel 2012 e tedesche nel 2013.
Così si va tutti in ordine sparso, ciascuno preoccupato del proprio elettorato e senza una visione europea di medio-lungo periodo, che si tratti della creazione di titoli pubblici europei, come gli eurobond, tecnicamente praticabili ma politicamente difficili da far digerire da elettorati preoccupati solo della propria ricchezza di oggi e non dei suoi sviluppi futuri per tutta l’Unione.
Un limite questo che molti economisti denunciano anche nelle diverse «stangate di rigore» ma prive di stimoli alla crescita, senza la quale non solo non si recupera la disoccupazione e si arresta la crescente povertà , ma nemmeno si ridurranno i debiti pubblici, con il rischio di innescare una spirale recessiva all’origine di un pericoloso contagio tra i Paesi UE, adesso che rallenta anche la crescita dei Paesi emergenti.
E’un’analisi acuta e tutt’altro che ottimistica ed è evidente che purtroppo corrisponde perfettamente alla situazione. Non ci resta che stare con il fiato sospeso ad attendere gli eventi!