Le responsabilità   nella bancarotta greca

1336

Adesso che la bancarotta dei conti pubblici della Grecia ha svelato le sue vere dimensioni viene il tempo della ricerca delle responsabilità  , non per fare processi, ma per imparare tutti la lezione e cercare di prevenire, a cominciare dal nostro Paese, disastri di analoga gravità   che si comincia a temere siano all’orizzonte. A voler procedere in ordine cronologico, i primi a finire sul banco degli accusati sono i governanti greci, in particolare l’ultima coalizione di centro-destra che ha truccato i conti e nascosto i buchi di bilancio mentre conduceva una politica di elargizioni alle sue molte clientele, in un clima di diffusa corruzione.
La verità   comincia a venire a galla quando, nel novembre scorso, il nuovo governo del socialista Papandreou rivela che in realtà   il deficit dei conti era a 12,7% sul PIL, invece che al 3% come previsto dai Trattati (ma oggi è già   attorno al 14%) e il debito pubblico al 135% del PIL (l’Italia, seconda nella lista nera, è a 118% ).
àˆ di gennaio un primo piano di risanamento sotto lo sguardo preoccupato dell’Europa, che il 3 febbraio (intanto sono passati oltre due mesi dalla «scoperta» del buco) approva misure da adottare qualora la situazione lo avesse reso necessario.
Una settimana dopo il Vertice dei capi di Stato e di governo dichiara la propria solidarietà   alla Grecia ma, frenato dalla Germania, non va molto oltre. Intanto, da una parte, i mercati finanziari ci danno dentro con la speculazione, dall’altra crescono le mobilitazioni sindacali di protesta per i costi della crisi scaricati sui lavoratori.
A metà   aprile i ministri delle finanze della zona euro mettono a punto il piano di intervento: 45 miliardi di euro di prestiti, 30 in carico ai Paesi UE (per l’Italia 5,5 miliardi) e 15 da parte del Fondo Monetario Internazionale.
E si arriva ai nostri giorni: le agenzie di rating declassano disinvoltamente, una dopo l’altra, la Grecia, la Spagna e il Portogallo, crollano le borse europee, l’euro tocca minimi pericolosi, cresce il deficit greco, si comincia a parlare di cifre doppie rispetto ai 45 miliardi di aiuti preventivati a metà   aprile.
Davanti all’incalzare della crisi greca – e ormai sempre più «europea» – anche la cancelliera tedesca Merkel decide di intervenire per salvare l’euro, oltre che le sue banche, nonostante la contrarietà   dell’opinione pubblica tedesca alla vigilia di un’importante consultazione elettorale.
Domenica 2 maggio, in una riunione d’urgenza, i ministri della zona euro aggiornano il piano di salvataggio da portare all’approvazione dei capi di Stato e di governo della zona euro il 7 maggio, insieme con i nuovi orientamenti sulle regole future del Patto di stabilità  . Intanto il piano di salvataggio passa da 45 a 110 miliardi di euro di prestiti su tre anni, con 80 miliardi a carico dei Paesi della zona euro e 30 finanziati dal Fondo Monetario Internazionale. àˆ più che raddoppiato l’ammontare complessivo degli aiuti, ma cambia anche la proporzione a carico dell’UE, come auspicato coerentemente dalla Banca Centrale Europea.
Proporzionalmente pesanti le contropartite chieste alla Grecia: riduzioni e congelamenti dei salari nel settore pubblico, innalzamento dell’età   pensionabile e riduzione delle pensioni, maggiore flessibilità   per i licenziamenti nel settore privato, riduzione degli investimenti statali, aumento dell’IVA e contrasto all’evasione fiscale. Si tratta di misure che dovrebbero consentire di ridurre il deficit sul PIL al 3% entro il 2014, ma che sono già   anche un messaggio chiaro per gli altri Paesi a rischio e, tra questi, ci potrebbe essere un giorno anche l’Italia.
Purtroppo perಠtutto questo dispositivo non sembra bastare. Lo segnalano le borse in caduta libera che non credono al risanamento dei conti greci e temono che presto sia il turno della Spagna, per la quale potrebbero essere necessari oltre 450 miliardi di euro. Ma i mercati finanziari mandano ancora un altro pesante messaggio con le perdite delle borse italiana e portoghese, al punto che circolano le prime spaventose stime di quanto potrebbe costare un salvataggio dell’Italia: poco meno di 700 miliardi di euro. E tutto questo con l’UE in affanno e l’Italia dentro una confusione politica che non augura bene.
Questa la cronaca un po’ semplificata di un dramma che andava crescendo da ormai quattro mesi, mentre la casa bruciava e attorno si spendevano buone parole e poche decisioni concrete.
Sta qui, nella miopia della politica, nei suoi tempi insopportabilmente lunghi, il nucleo duro delle responsabilità   della drammatica vicenda greca – e nostra.
Prima i governanti greci che hanno chiuso gli occhi per anni sui conti truccati, poi gli altri 15 Paesi dell’euro che hanno guardato alla Grecia come a qualcosa a loro estraneo e, infine, la Germania, indecisa fino all’ultimo sulla solidarietà   da offrire a un Paese che stava indebolendo quell’euro che aveva preso, non senza sofferenze tedesche, il posto del mitico marco, dimenticando il sostegno ricevuto dall’UE al momento dell’unificazione tedesca.
Impotenti si sono rivelate anche le Istituzioni comunitarie: il Consiglio dei ministri, andato per mesi di riunione in riunione senza decisioni credibili; la Commissione Europea, guidata da un Barroso non proprio incisivo, e un Parlamento Europeo, dai poteri ancora troppo deboli.
Tra tutte, l’Istituzione che ha salvato, almeno in parte, la faccia senza poter essere decisiva è stata la Banca Centrale Europea, a guardia della moneta unica, ma con interventi più di «moral suasion» che non con decisioni, peraltro non consentite dagli attuali Trattati.
Per chi avesse occhi per vedere, molto ci sarebbe da riflettere sul torpore e l’ignavia della politica, ma molto anche sull’inadeguatezza delle Istituzioni comunitarie consegnateci da quel Trattato di Lisbona che per molti avrebbe dovuto bastare per anni, se non decenni, al buon funzionamento dell’Europa.
Era l’opinione, in particolare, della cancelliera Merkel che adesso chiede – e con lei lo chiede giustamente anche il governatore della Banca d’Italia Draghi – di rivedere le regole del Patto di stabilità   per renderle più severe.
Hanno ragione, meglio tardi che mai, ma non basta: se si vuole che l’UE abbia un futuro e la fiducia dei suoi cittadini il progetto di integrazione economica e politica dell’Europa va radicalmente ripensato e rafforzato, prima che sia troppo tardi.

1 COMMENTO

  1. Scrivi il tuo commento qui.
    LA DRAMMATICA SITUAZIONE CHE LA GRECIA IN QUESTI GIORNI STA AFFRONTANDO, DA MOLTO DA PENSARE,LE IMMAGINI DEI DISORDINI, LE GRANDI MOBILITAZIONI NAZIONALI, FANNNO CAPIRE LA DRAMMATICITA’ DELLA SITUAZIONE. LA COSA PEGGIORE E CHE IN REALTA’ QUESTO POSSA SUCCEDERE ANCHE DA NOI, LA NOSTRA SITUAZIONE SEMPRE PRECARIA E SUL FILO DEL RASOIO, CI FA SENTIRE IN CONTINUA ANSIA.
    I MEDIA, LA POLITICA, POCO AFFIDABILI NELLE NOTIZIE E DICHIARAZIONI CI LASCIANO TEMERE UNA SITUAZIONE ANALOGA ALLA GRECIA….
    SPERIAMO BENE

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here