Nella primavera del 2000, capi di Stato e di governo degli Stati membri dell’UE, riuniti in Consiglio nella capitale portoghese, diedero vita e avvio alla ormai nota Strategia di Lisbona. Noto anche l’obiettivo della strategia: «Fare dell’Europa l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo entro il 2010».
A distanza di quasi otto anni da allora, la Commissione europea si sofferma, ancora una volta, a vagliare risultati e difficoltà riscontrate. Il nodo cruciale dell’analisi è la ricerca europea, la lentezza dei suoi ingranaggi, le gravi mancanze nel coordinamento di politiche nazionali e regionali, l’assenza di condizioni lavorative dinamiche e favorevoli per ricercatori di alto livello. L’8 ottobre scorso Lisbona ha ospitato un nuovo incontro chiave per gli attori della ricerca europea. La Commissione in quella sede riapriva le discussione sul Libro Verde dal titolo «Nuove prospettive per lo Spazio europeo della Ricerca».
La ricerca, motore di nuova conoscenza e quindi di innovazione, tecnologia e competitività , è pietra miliare per il futuro europeo. Una ricerca di ampio raggio e di fondamentale rilevanza che deve saper affrontare le sfide di un mondo sempre più veloce e complesso, come le preoccupazioni ambientali che opprimono il pianeta, le quotidiane e difficilissime scommesse della medicina, le esigenze di trovare risposta a questioni etiche sempre più controverse. Il cuore di questa ricerca è costituito dalle menti che pazientemente e ingegnosamente la creano. Ma questo purtroppo è un punto debole per l’Unione europea.
Nonostante l’Europa sia stata definita «la più grande fabbrica di cervelli del mondo», con un numero di laureati e di dottorati di ricerca che ogni anno supera quello di Stati Uniti e Canada, l’Europa è anche la fonte primaria di flussi migratori di ricercatori verso questi Paesi. L’Unione europea, insomma, non riesce a trattenere i suoi talenti nà© tantomeno ad attrarne di nuovi.
Ma senza ricercatori come si puಠalimentare la ricerca?
La sfida che incombe da qualche tempo sull’Europa è quella di frenare la «fuga dei cervelli» e di invertire il flusso di ricercatori di eccellenza che emigrano. Gli studi classici sui movimenti migratori da sempre affrontano la questione, soffermandosi a considerare da un lato i cosiddetti push factors, le ragioni che spingono le persone a emigrare verso un altro Paese. Dall’altro i possibili pull factors, ovvero i fattori positivi di attrazione del Paese di destinazione.
Per i ricercatori europei, i push factors rispecchiano la difficoltà nel superare all’interno dell’UE le frontiere nazionali o istituzionali, ma anche le condizioni di lavoro insoddisfacenti e le prospettive di carriera molto ristrette. Nonostante infatti la ricerca sia parola magica sulla bocca di molti, la possibilità che essa si concretizzi e che assuma in Europa il ruolo che indiscutibilmente le spetta è ancora distante. Le borse di studio per la ricerca in Europa sono troppo basse, la mobilità dei ricercatori da università ad università , oppure da mondo accademico a mondo industriale, è lenta e non particolarmente incentivata. Paesi quali gli Stati Uniti e il Canada sono al contrario poli di attrazione per l’ambiente lavorativo dinamico e ambizioso, che offrono un sostegno economico e legislativo di gran lunga più favorevole.
L’UE, consapevole delle grandi lacune da colmare, tenta di frenare la perdita dei suoi talenti, lanciando nuove iniziative che investono in primis la riforma del mercato del lavoro per i ricercatori, ma anche incentivi e proposte di cambiamento nei sistemi educativi.
La Carta europea dei ricercatori e il codice di condotta per la loro assunzione sono stati passi importanti, conquistati alla fine del 2005, per la creazione di un mercato del lavoro per i ricercatori più attraente e sicuro. Il settimo Programma quadro per la ricerca e l’innovazione dell’Unione europea conferma l’importanza della questione dedicando un intero programma (Persone) alla promozione delle carriere nella ricerca e un secondo («Idee») al finanziamento di progetti di eccellenza scientifica.
Parallelamente, prende forma un’attenta riforma nel sistema di formazione dei ricercatori europei. Il riconoscimento delle qualifiche ottenute in tutti i Paesi dell’UE, l’importanza per i ricercatori di viaggiare e lavorare in ambienti internazionali e di confronto, la necessità di acquisire una conoscenza più concreta, operativa e meglio spendibile sono i punti chiave per i futuri cambiamenti. Secondo un recentissimo Rapporto pubblicato dall’Associazione delle Università Europee (EUA), la possibile riforma del sistema di dottorati di ricerca nell’UE farà da calamita per talenti rifugiati altrove e disegnerà la nuova generazione di ricercatori europei.
Sembra che l’Europa creda realmente nella conoscenza e nella ricerca come basi per il suo futuro. Si spera per questo che continui a scommettere sui suoi ricercatori.