La resistenza di Hong Kong

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Si erano momentaneamente sopite, durante il periodo del coronavirus, le manifestazioni di protesta ad Hong Kong. Sono riprese in questi ultimi giorni, facendo balzare subito agli occhi la violenza con la quale la Cina intende mettere a tacere quel popolo che, da più di un anno, difende la sua autonomia e si oppone, in particolare, alla legge cinese sulla sicurezza nazionale. Le ultime manifestazioni, trasformatesi palesemente in un’opposizione all’ingerenza cinese, sono state infatti represse con inaudita brutalità, scoraggiando i leader del movimento, ormai consapevoli delle inevitabili conseguenze a cui andranno incontro.

Il 30 giugno scorso infatti il Presidente Xi Jinping ha firmato quella legge e molte saranno le cose che cambieranno nella vita dei cittadini di Hong Kong. In primo luogo, gli obiettivi della legge hanno contorni sufficientemente opachi per permettere alle autorità cinesi interpretazioni estensive e riguardano “la secessione, la sovversione e la collusione con forze straniere”. Composta da sei capitoli e da 66 articoli, la legge prevede che tali crimini possano essere puniti persino con la reclusione a vita.

Una legge quindi che, attraverso la politica della “sicurezza interna”, erode quell’autonomia di Hong Kong e di quel “un paese, due sistemi” garantiti negli accordi del 1984 fra Pechino e Londra e ribaditi nel 1997, anno del passaggio del territorio dalla Gran Bretagna alla Cina. 

Compromesse quindi le richieste di un percorso democratico della città, del rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, di espressione, di stampa, di sciopero, di manifestazioni e di  libertà religiosa, tutti valori che avevano caratterizzato Hong Kong e che purtroppo rischiano fortemente di scomparire nelle pieghe di un vasto regime autoritario in piena crescita economica e in corsa per diventare la prima potenza mondiale. Una prospettiva che inquieta la comunità internazionale e l’Unione europea in particolare, stretta quest’ultima fra l’esigenza del rispetto dei diritti fondamentali e la ricerca di un rapporto economico e commerciale equilibrato. Una sfida che si colloca nel contesto di una guerra commerciale irrisolta fra Stati Uniti e Cina, di conseguenze economiche disastrose dovute alla pandemia di coronavirus, di un’esigenza di maggiore indipendenza da alcune importazioni cinesi e nel bel mezzo di un negoziato per la conclusione di un accordo comprensivo sugli investimenti UE-Cina.

Vale la pena ricordare qui alcune considerazioni sui legami finanziari dell’Unione Europea al riguardo: nel 2019 la Cina è stato il primo partner commerciale per le importazioni ; a Hong Kong hanno filiali almeno 2200 aziende europee, dove depositano anche i fondi da spostare successivamente in Cina, mentre l’Eurozona è il secondo partner commerciale di Hong Kong subito dopo la Cina. Una situazione che potrebbe indurre inquietanti prudenze, ma anche determinazioni nel condannare l’atteggiamento cinese nei confronti di Hong Kong, cosa che, dopo il Parlamento europeo, ha fatto anche l’Alto Rappresentante Josep Borrell con queste parole:”L’Unione europea teme che la legge rischi di compromettere gravemente l’elevato grado di autonomia di Hong Kong e abbia un effetto negativo sull’indipendenza del sistema giudiziario e sullo Stato di diritto. Entrambi i principi rimangono essenziali per il mantenimento della stabilità e della prosperità di Hong Kong e rivestono pertanto un interesse vitale per l’Unione europea e per la comunità internazionale. L’Unione europea esorta la Cina a evitare qualsiasi atto che pregiudichi l’autonomia di Hong Kong in ambito giuridico, anche in termini di diritti umani.”

Il dialogo fra Unione Europea e Cina si intensificherà nei prossimi mesi per giungere alla firma dell’accordo sugli investimenti: sarà un’ulteriore occasione per misurare il coraggio dell’Unione nella difesa dei suoi valori fondanti. 

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