«Se devo chiamare l’Europa, che numero faccio?»: l’interrogativo formulato da Henry Kissinger negli anni Settanta non ha ancora, ad oggi, trovato una risposta. Non bastava la mancata entrata in vigore della Costituzione, che avrebbe dotato l’UE di un ministro degli Esteri e di una presidenza più stabile e responsabile politicamente (punti ripresi, nella sostanza, dal Trattato di Lisbona di cui pure, ad oggi, non è scontato l’esito del processo di ratifica). Ora, dopo la sfiducia del Parlamento ceco al proprio esecutivo, l’Europa si trova di fatto senza neppure quella debole guida costituita dalla presidenza semestrale della Repubblica Ceca.
E tutto questo nel momento in cui l’UE è chiamata alle proprie responsabilità per fronteggiare non solo la più grave crisi economica conosciuta dall’Europa unita, ma anche la più grave crisi ecologica conosciuta dall’umanità .
Il 25 marzo scorso il presidente di turno dell’UE, Mirek Topolanek, fresco della mozione di sfiducia da parte del proprio Parlamento nazionale, si è trovato a difendere davanti a un altro Parlamento, quello europeo, i risultati del Vertice di primavera, quasi esclusivamente dedicato alla crisi: dagli stanziamenti messi in campo a livello aggregato per sostenere la domanda, alla solidarietà fra Stati Membri più o meno in difficoltà , fino alla «visione europea» di governance economica e finanziaria da proporre al mondo (ma in particolare agli Stati Uniti), in vista del G20 di inizio aprile.
Mentre si discute se le misure prese per far fronte alla crisi economica possano essere più coraggiose o se non ci sia il margine per fare di più, su un punto possiamo purtroppo dire con certezza che il Consiglio europeo è stato deludente: i leader europei hanno infatti «deciso di non decidere» su quale debba essere la posizione unitaria dell’UE nei negoziati multilaterali sul cambiamento climatico. Un clamoroso passo indietro – denuncia il segretario esecutivo della Convenzione ONU sul cambiamento climatico – rispetto alle promesse fatte dall’UE alla Conferenza di Bali del dicembre 2007, in cui si decise di dare avvio ai negoziati per definire un nuovo impegno internazionale alla riduzione delle emissioni che vada oltre il Protocollo di Kyoto, valido fino al 2012. Il nuovo accordo, al quale gli Stati Uniti di Obama si sono detti intenzionati a prendere parte, superando quindi l’avversione dell’amministrazione Bush per gli impegni multilaterali, dovrebbe essere firmato a Copenaghen nel dicembre 2009.
Le conclusioni del Consiglio europeo, arenatosi sulla definizione degli strumenti finanziari internazionali per pagare i costi della riduzione delle emissioni, rimandano a giugno la discussione su quale debba essere la posizione dell’UE nei negoziati ONU, ma sembra più probabile che l’onere di portare a casa un accordo fra gli Stati membri toccherà alla Svezia, che assumerà la presidenza dell’Unione il prossimo luglio. Infatti la presidenza ceca, che finora non si è ancora sostanzialmente mossa sul tema, è oggi rappresentata, più che dal governo sfiduciato di Topolanek, dal presidente della Repubblica Vaclav Klaus, il quale ha recentemente affermato che il riscaldamento globale sarebbe «un mito pericoloso», oltre ad aver accusato l’UE di tendenze egemoniche simili a quelle dell’URSS.
Dagli anni Novanta ad oggi, l’Unione europea ha avuto senza dubbio un ruolo di leadership a livello internazionale sul tema dell’ambiente: dalla sicurezza alimentare alla lotta al cambiamento climatico, l’Europa ha difeso con forza il proprio modello, basato sul multilateralismo, la responsabilità tramite impegni vincolanti e la differenziazione degli sforzi richiesti ai Paesi in via di sviluppo ed emergenti rispetto a quelli più industrializzati. In particolare, la forza dell’UE è stata la sua disponibilità a sottoporsi a vincoli stringenti anche in assenza di un impegno parallelo di altri Paesi industrializzati, in primis, ovviamente, gli Stati Uniti, la cui scelta di non ratificare il Protocollo di Kyoto ha avuto pesanti ripercussioni sull’intero «sistema mondo».
Oggi, perà², l’Unione europea sembra aver perso questo coraggio, almeno a giudicare dalle parole del presidente della Commissione, Josà© Manuel Barroso, che ha giustificato il buco nell’acqua del Vertice di primavera sostenendo che «fintanto che altre nazioni, in particolare Stati Uniti e Cina, non faranno dei passi avanti, l’Europa non dovrebbe prendere nessun impegno ulteriore sulla lotta al cambiamento climatico». Un atteggiamento – secondo l’ONG Oxfam – «ben distante dalla leadership».
Mentre l’UE aspetta il primo passo degli Stati Uniti e l’Amministrazione Obama è riluttante a scoprire le proprie carte, il riscaldamento globale incalza, come denuncia Greenpeace, e l’innalzamento della temperatura media della Terra si avvicina sempre più ai 2°C, livello oltre al quale, secondo gli scienziati dell’IPCC, non sarà più possibile tornare indietro.