Kosovo: Balcani di nuovo a rischio

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Non è difficile prevedere che giorni difficili attendono i Balcani. Il 28 novembre scorso, infatti, dopo tre giorni di negoziato la troika di mediazione formata da UE, USA e Russia ha preso atto del fallimento della trattativa sullo statuto del Kosovo, oggi provincia della Serbia a forte maggioranza albanese musulmana. Ennesimo episodio, non certo minore, della storia infinita dei Balcani e una coda all’irrisolto problema della convivenza all’interno della Serbia tra gruppi etnici in costante tensione dopo la guerra del Kosovo del 1999 e dopo in nuovi gravi incidenti del 2004. Da allora non si sono calmate le spinte secessioniste e ora tutti quei nodi vengono al pettine: anche l’ONU non potrà   che constatare il mancato accordo sullo status futuro del Kosovo, per il quale i kosovari albanesi vogliono l’indipendenza dalla Serbia contraria invece ad andare oltre il riconoscimento di una pure avanzata autonomia.
Le recenti elezioni in Kosovo hanno dato fiato all’ala dura del secessionismo e vi è nell’aria la proclamazione unilaterale di indipendenza, nonostante la ferma opposizione della Russia tradizionale alleata della Serbia. Ma come sempre, le vicende balcaniche hanno ricadute al di fuori di quei confini e non solo nel continente europeo.
Coinvolta è anche la Russia, non solo per la sua «anima slava» ma anche e più ancora per il timore di altre dinamiche secessioniste nel suo sterminato territorio dalle cento etnie, dove la Cecenia potrebbe non essere l’unico focolaio a tornare ad incendiarsi. A questo si aggiunga la tensione intrattenuta dal presidente Vladimir Putin con gli USA e in tono minore con l’UE, accusate di voler spingere la NATO ai confini della Russia. Non è certo di buon auspicio, infatti, che in questo clima che si va surriscaldando la Russia abbia sospeso il Trattato sulle armi convenzionali in Europa in risposta alla minaccia di scudo missilistico voluto dagli Usa alle porte della Federazione russa. Naturalmente è coinvolta l’UE, perchà© si tratta non solo di vicende che interessano un territorio europeo ma anche una regione con la quale sono in corso negoziati di adesione, come con la Croazia, o di accordi di associazione come nel caso della Serbia e degli altri Stati della ex Jugoslavia. Senza dimenticare che alcuni Paesi membri dell’UE, quali Romania e Grecia, hanno più di un motivo per non incoraggiare movimenti di secessione nella regione.
Infine, non meno interessati alla questione kosovara sono gli USA, da sempre attivi nella regione come testimoniano gli accordi di Dayton sulla Bosnia sotto la presidenza di Bill Clinton e l’intervento armato del 1999, mentre oggi sono presenti in Kosovo con la più grande base americana costruita all’estero dai tempi del Vietnam e localizzata non a caso nei pressi di importanti corridoi energetici. Non stupisce che in questo contesto gli Usa siano pronti a sostenere una dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo, nonostante l’opposizione di Serbia e Russia e l’invito alla prudenza dell’UE.
Per l’Unione europea, incerta e divisa come spesso accade in politica estera, si impone la ricerca di una soluzione condivisa che non accenda nuove micce nella polveriera balcanica, dove la Repubblica serba di Bosnia potrebbe saltare sull’occasione offerta dalla secessione del Kosovo per rimettere in discussione i fragili equilibri raggiunti, e che non renda più difficili di quanto già   non siano i negoziati in vista dell’adesione di «tutti» i Balcani all’UE.
Per l’Italia, che in Kosovo ha duemila militari e prospettive di una presenza importante nella costruzione di assetti democratici e di promozione della legalità   in una regione ad alto tasso di criminalità  , vi è l’esigenza di una soluzione se non proprio condivisa almeno non traumatica. Una soluzione da ricercare nella sede naturale dell’ONU, dove il nostro Paese ha da poco assunto la presidenza del Consiglio di Sicurezza e dove il tema caldo dell’indipendenza del Kosovo dovrebbe essere affrontato il 19 dicembre.
Si moltiplicano perಠgli allarmi: gli USA parlano di «pace in bilico» e Putin, alle prese con la sua auto-successione, fa la voce grossa. L’UE, malgrado le sue incertezze, non puಠcerto chiamarsi fuori: ne va del suo ruolo nel mondo, a cominciare dal suo territorio europeo, del suo impegno a proseguire nel processo di integrazione europea e della sua vocazione a costruire una società   multietnica che è ormai il suo destino.

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