Iran al voto per la Presidenza: il primo turno ha premiato un riformatore

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Il 2024 è l’anno delle elezioni e sta portando al voto circa la metà della popolazione mondiale. Un esercizio segnato da un peso democratico variabile a seconda del Paese in cui viene esercitato. Ad oggi, ad esempio, abbiamo già assistito ad elezioni nell’Unione Europea ed in alcuni suoi Stati membri, in Gran Bretagna, in Russia, in Bielorussia, in India, in Indonesia, a Taiwan, in Messico, mentre si è ancora in inquietante attesa delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti del prossimo novembre.

Non previste invece le elezioni presidenziali in Iran, organizzate in breve tempo dopo la morte del Presidente in carica Ebrahim Raisi, vittima nello scorso mese di maggio di un incidente aereo. Tenutesi il 29 giugno scorso, le elezioni hanno rappresentato, in prima analisi, una cartina di tornasole rivelatrice della sfiducia e della stanchezza di un popolo di fronte ad un regime fondamentalista tenace e ultraconservatore.

Eppure, malgrado la scarsissima partecipazione al voto, circa il 40% della popolazione, segnale di velata delegittimazione nei confronti della Repubblica islamica, qualcosa si è mosso dietro il sipario del potere. Quattro i candidati in campo, di cui tre ultraconservatori legati al regime e un riformista, autorizzato a candidarsi dal Consiglio dei guardiani della rivoluzione, Massoud Pezeskhian, giunti ad una prima vittoria con il 42% dei voti, seguito, con il 38% dei voti dal fondamentalista e ultraconservatore Said Jalili. La risposta definitiva sul vincitore delle elezioni si terrà in un secondo turno previsto per il prossimo 5 luglio.

Una prima lettura suggerisce che la timidissima partecipazione al voto ha risposto in maggioranza positivamente a un progetto politico più moderato, meno repressivo, con possibili aperture ai diritti e un’attenzione maggiore a quelle riforme democratiche che donne e giovani chiedono, con determinazione, da tanto tempo e soprattutto da almeno due anni a questa parte. Non solo, ma pur confermando la sua lealtà alla Guida suprema, Massoud Pezeskian ha anche fatto intravedere la possibilità e la volontà di riannodare un dialogo con l’Occidente, non foss’altro per alleggerire il peso delle sanzioni economiche che da più di dieci anni a questa parte pesano sullo sviluppo del Paese e sulle condizioni di vita delle popolazioni.  Al riguardo, infatti, la povertà nel Paese è notevolmente aumentata, con molti cittadini, anche della classe media, sotto o sulla soglia del livello di povertà.

L’Iran è un attore di primo piano nella geopolitica del Medio Oriente, oggi in preda a un conflitto che potrebbe incendiare tutta la regione. Punto di riferimento di quello che viene definito l’”Asse della resistenza”, una rete di alleanze regionali composta da attori statali e non statali, Teheran guarda in particolare alla Russia e conta sulla Cina per l’esportazione del suo petrolio. Ma l’Iran è anche il Paese che, nella polveriera del Medio Oriente, sta correndo verso la realizzazione dell’arma nucleare, cosa a dir poco inquietante.

Sarà al ballottaggio di domenica prossima che si conoscerà il responso definitivo delle urne quando si sceglierà se continuare ad affidare la Presidenza del Paese al fondamentalismo di Jalili o incoraggiare la possibilità di quell’apertura promessa dal riformatore Pezeskian.

   

    

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