Il volto sempre più ostile di Mosca

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Sembra ormai arrivata a livelli di guardia la tensione fra Occidente e Russia. In un complicato groviglio di contraddizioni politiche e di minacce militari, la Russia continua a giocare, da sette anni a questa parte, una pericolosa partita alle frontiere orientali dell’Ucraina, in quella regione separatista del Donbass dove il conflitto con Kiev ha già causato circa 14.000 vittime e un milione e mezzo di sfollati. 

Da qualche settimana a questa parte infatti, la Russia ha ripreso l’invio di truppe e di nuovi tipi di armamenti sul fronte dove operano le forze separatiste sostenute da Mosca, ma anche in Crimea, regione annessa dalla Russia nel 2014 e, più recentemente nel Mar Nero, con un dispiegamento impressionante di navi da guerra. Il tutto con il pretesto di “manovre di routine”, ma che stanno mettendo in allarme Unione Europea, Stati Uniti e NATO.

Una situazione che mette in evidenza le contraddizioni contenute nel quadro di negoziati del “Formato Normandia”, composto da Ucraina, Russia, Germania e Francia, con l’obiettivo di risolvere il conflitto ma che non è mai stato in grado di produrre risultati incoraggianti, salvo qualche fragile cessate il fuoco.  In causa, in particolare, il ruolo della Russia che, non avendo mai riconosciuto il suo coinvolgimento nel conflitto, ha sempre cinicamente preteso di svolgere un ruolo di “mediatore” all’interno di questa guerra civile. 

Intorno al Donbass, la Russia sta tuttavia, con coerenza, spostando le sue pedine nello spazio ex sovietico, considerato il suo “estero vicino”, con l’obiettivo di mantenervi un ruolo egemonico. Si sono così venuti a creare, in diversi Paesi, conflitti “congelati”, come quelli in Georgia, in Moldavia, nel Nagorno Karabakh e ora di nuovo in Ucraina, con il grave pericolo che possano esplodere o riesplodere in un crescendo di tensioni internazionali e nella prospettiva di una nuova versione di guerra fredda.

E’ infatti uno scenario internazionale in grande mutazione che si sta muovendo intorno a questa nuova “provocazione”: l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca e un nuovo protagonismo statunitense in Europa, corredato di sanzioni, di approcci molto meno condiscendenti nei confronti di Mosca e, in questi ultimi giorni, con l’invio di navi da guerra nel Mar Nero; una posizione dell’Ucraina rivolta all’Europa e all’Occidente ma, nello stesso tempo, desiderosa di non interrompere il tenue filo del dialogo con Putin; una NATO sempre più preoccupata dall’escalation russa ma tiepida nei confronti dell’adesione all’Alleanza atlantica dell’Ucraina che, dal canto suo, invoca protezione e attenzione, ricordando l’annessione della Crimea; un’Unione Europea alla ricerca di uno spazio di mediazione, divisa fra una prudente realpolitik e il sostegno alla sovranità e integrità dell’Ucraina, Paese che fa parte del suo partenariato orientale. Ed infine un nuovo protagonismo turco in cui Erdogan ribadisce, al di là dei suoi discutibili rapporti con Mosca, il suo totale sostegno all’Ucraina.

Infine, è sullo sfondo di questo inquietante scenario e all’interno della stessa Russia che si sta consumando una tragedia umana dalle dimensioni universali: è quella dell’oppositore al regime di Putin, Alexei Navalny, condannato al carcere e forse anche alla morte. Una tragedia che suona un crudele campanello d’allarme sulla mancanza di rispetto dei diritti umani e delle minime regole della democrazia. Un campanello di fronte al quale l’Europa, in particolare,  non può tacere perché ne va della sua credibilità e dei suoi valori, anche se a soffrirne sarà proprio quella realpolitik, intrisa solo di opportunità economiche e commerciali.

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