Il via alla COP 28

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In un periodo in cui i canali di informazione hanno puntato i riflettori sulla guerra in Medio Oriente e spostato più in ombra la guerra in Ucraina, il mondo continua nei suoi cambiamenti e porta sulla scena internazionale attori che non avevamo l’abitudine di vedere o di ascoltare.

Si aprirà infatti a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, il 30 novembre, la COP 28  (Conferenza delle Parti), l’appuntamento annuale delle Parti sui cambiamenti climatici. Importante al riguardo la partecipazione dei 187 Paesi che si sono impegnati, in seno all’ONU, ad affrontare i rischi dei cambiamenti climatici, del surriscaldamento e di tutte le ricadute sulla salute dell’intero Pianeta.

Circa 70.000 persone discuteranno delle misure necessarie per garantire un futuro alla Terra, coscienti del fatto che il 2023, l’anno di questa COP,  potrebbe essere considerato l’anno più caldo da due secoli a questa parte. Il Servizio relativo ai cambiamenti climatici dell’UE, Copernicus (C3S) indica che le temperature medie mondiali durante i tre mesi estivi (giugno, luglio e agosto) di quest’anno sono state le più elevate mai registrate. Non solo, ma rispetto al limite di una media globale di surriscaldamento non superiore a 1,5° C, come previsto dall’Accordo di Parigi  (COP 21 del 2015), l’Europa si sta surriscaldando quasi due volte più velocemente della media globale, con un aumento di circa 2.2°C rispetto all’epoca preindustriale. 

Sono trascorsi più di trent’anni ormai da quando, dopo numerosi campanelli d’allarme, nel 1992 ben 172 Paesi si riunirono al Primo Vertice della Terra di Rio de Janeiro e  presero coscienza del fatto che il Pianeta non aveva risorse inesauribili e che era urgente prendere misure per evitare che non soffocasse sotto le emissioni di CO2. 

È in questa prospettiva che il mondo, dal 1995, si riunisce ogni anno nel contesto delle COP, prende impegni per ridurre le emissioni di CO2, dichiara urgente lo sviluppo  delle energie alternative e verdi e determina la necessità di ridurre e, a termine, sopprimere, l’uso delle energie fossili, dal carbone al gas, al petrolio. Impegni che dividono il mondo non solo fra responsabili dell’inquinamento, ma anche e soprattutto fra produttori e consumatori di energia, in un quadro globale di competizione geopolitica e geoeconomica, di dipendenze energetiche e di esigenze di sviluppo irrinunciabili.  

Nel frattempo, le produzioni mondiali di CO2 sono costantemente aumentate, segnando, secondo un recente rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia, un record di emissioni nel 2022, alimentando in tal modo lo sconvolgimento del clima. D’altro canto, va sottolineato, è cresciuta la produzione di energia da fonti rinnovabili, ma, come sottolinea l’Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili (IRENA), per rimanere su un percorso che limiti il riscaldamento globale a 1.5° C, gli incrementi annuali devono crescere di almeno tre volte rispetto al livello attuale.

Sul filo delle COP e dei loro scarsi risultati e impegni rispettati, la COP 28, quest’anno, è nelle mani degli Emirati Arabi Uniti, un Paese catalogato come settimo produttore mondiale di greggio, con una produzione giornaliera vicina ai 4 milioni di barili e destinata ad aumentare nel prossimo futuro. Il Sultano Ahmed Al Jaber, a capo del gigante petrolifero degli Emirati Arabi Uniti, la Abu Dhabi national oil company (Adnoc), è stato nominato Presidente della COP 28 sul clima. 

Una prospettiva che alimenta dubbi e perplessità sull’imparzialità della Presidenza della COP a guidare negoziati che hanno come obiettivo centrale proprio la messa al bando dei combustibili fossili, la riduzione delle emissioni di CO2 e il fondo per compensare i paesi più danneggiati dal riscaldamento globale.

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