
Un quarto di secolo fa il mondo e gli Stati Uniti d’America furono scossi dal tragico attentato alle Torri gemelli di New York. Era allora presidente USA il repubblicano George Bush jr, Vladimir Putin iniziava il suo ventennio di potere imperiale e l’Unione Europea stava per coronare uno dei suoi sogni, quello della moneta unica e, con i suoi 15 Stati membri, si avviava al grande allargamento verso est.
Con il nuovo secolo cominciava a delinearsi un mondo in forte cambiamento e gli USA, ancora potenza egemone, si riproponevano come protagonisti. Ci provarono subito con la guerra in Afghanistan insieme al Regno Unito, richiamandosi all’art. 5 del Trattato NATO, che fece scattare allora – e fu l’unica volta – la solidarietà degli alleati europei, provocando un ulteriore cataclisma politico nel Medio Oriente, tuttora in corso.
“Quando la storia si ripete due volte – ci aveva ricordato Karl Marx – la tragedia diventa farsa”: è forse di nuovo il caso di tenerlo a mente, come una metafora, guardando a quanto sta capitando, nell’America di Donald Trump ed Elon Musk. Adesso l’attacco all’America proviene dal suo interno, per ora solo con una raffica di “decreti esecutivi” e ancora senza le armi usate nell’assalto al Campidoglio del gennaio 2021, ma è impressionante il numero di regole che vengono abbattute e le situazioni di conflitto che si vanno innescando nel Paese e nel resto del mondo.
L’attacco a 360 gradi dell’assetto democratico, vanto degli USA, lascia attoniti e provoca incredulità sulla capacità del popolo americano, elettori democratici in testa, di organizzare una risposta, come se anche in politica non esistesse una sorta di terza legge fisica della dinamica secondo la quale “a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”.
Certo la fisica ha regole meglio definite che non la politica, ma questo non impedisce di chiedersi quanto tempo ci vorrà per vedere formarsi una risposta a livello nazionale, mentre elementi di reazione si cominciano a vedere a livello internazionale.
E’ stato il caso della risposta di Canada e Messico alla minaccia di dazi, contrastata provvisoriamente con misure di relativo poco costo, o di Panama in difesa della sua proprietà del Canale che fa gola a molti o, ancora, della Danimarca chiamata a cedere il territorio della Groenlandia agli USA.
E’ tardata, come da tradizione, la risposta dell’Unione Europea, per almeno due ragioni: la necessità di tentare la strada “europea” del dialogo prima di andare allo scontro e la consapevolezza dei rischi che corre la coesione politica interna, con “patrioti vassalli” infiltrati al suo interno, in ginocchio alla corte di Trump.
Per l’Unione Europea si tratterà di una prova di vita o di morte: o riuscirà, improbabile, nel suo tentativo di dialogo o dovrà tirare fuori tutta la non poca forza contrattuale di cui dispone, come già sta facendo la Cina che non ha aspettato ad attivare dazi contro gli USA, convinta che la miglior difesa sia l’attacco.
L’alternativa altrimenti per l’UE sarà la resa non solo ai dazi e alle pretese di pilotare politicamente ed economicamente l’Europa da oltre Atlantico, come già si capisce per mettere fine alla guerra in Ucraina, ma anche e soprattutto il logoramento di valori e diritti che hanno orientato il progetto europeo, avviandolo – per usare le parole di Mario Draghi – verso una lenta agonia. Tanto più se dovessimo prendere sul serio le parole dello “sceriffo” vicepresidente USA, James Vance, a Monaco i giorni scorsi. Un discorso sulla democrazia da seppellire sotto una risata, visto il pulpito da cui viene la predica.
Forse questa volta il livello di pericolo è così alto che una risposta emergerà dalle nostre Istituzioni democratiche e, si spera, con il sostegno crescente dei cittadini europei, se vorranno evitare di diventare sudditi di un potere che non hanno votato, con un “alleato” che sta minacciando pace e benessere nel nostro continente e che potrebbe replicare in Europa, con tragica farsa, l’attentato delle Torri gemelle a New York, abbattendo questa volta la nostra casa comune europea.