Il mondo dieci anni dopo

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Era finito bene il «secolo breve», quello che ci aveva inflitto due guerre mondiali ma si era riscattato in extremis con i «venti di pace» simboleggiati dall’abbattimento del Muro di Berlino nel 1989, punto di svolta verso la riunificazione tedesca prima e dell’Europa dopo, all’indomani della dissoluzione dell’Unione Sovietica. La democrazia segnava passi avanti sul continente europeo e in molte altre parti del mondo, si diffondeva una speranza verso il nuovo millennio che si apriva e che avrebbe dovuto – dicevamo allora – distribuire equamente i «dividendi della pace» e ridurre gli squilibri economici tra i continenti grazie anche a massicce riduzioni delle spese militari e allo scampato pericolo di una guerra tra le due super-potenze del XX secolo. Di queste una sola rimaneva, quella degli Stati Uniti d’America, economicamente forte, tecnologicamente più avanzata e di sicura tradizione democratica.
Ma l’11 settembre 2001, proprio negli USA si abbatte la tragedia con l’attacco terroristico alle Torri Gemelle a New York, cuore del «vittorioso» capitalismo americano e a Washington sul Pentagono, simbolo di quella che si credeva ormai la sola invincibile potenza militare.
Da allora sono passati dieci anni e molte cose sono cambiate: non è stata la fine del mondo, ma di un mondo certamente sì. La vita democratica è stata minata da paure e restrizioni delle libertà  , si sono annebbiate le speranze di pace, cancellate da due guerre che non finiscono di finire: quella sciagurata in Iraq, con una coalizione agli ordini di George Bush junior. e l’Italia maldestramente coinvolta dal governo di centro-destra e, l’altra, non meno problematica ma con la bandiera dell’ONU, in Afghanistan ancora con gli USA con l’obiettivo – ma non il solo – di colpire i terroristi di Al Qaeda e Osama Bin Laden.
Intanto la mappa del potere economico andava mutando: i costi delle guerre (il budget globale della difesa USA dal 2001 è quasi triplicato, passando da 366 a 965 miliardi di dollari) e l’emergere di nuove potenze economiche come la Cina, l’India e il Brasile disegnavano nuovi vettori di sviluppo nella direzione prevalente dell’Asia minacciando di declino Stati Uniti ed Europa.
àƒÆ’à¢â‚¬° in questo contesto che altre «torri» vengono abbattute a New York nel 2008 con il crollo della potente finanza americana simboleggiata dal fallimento di Lehman Brothers, l’innesco che accende una miccia «corta» che, con la finanza, fa esplodere in rapida successione una crisi economica e sociale che, a tre anni di distanza, non ha ancora perso quasi nulla della sua forza distruttiva.
All’indomani di quel 2001 l’Europa intuì quasi subito che il mondo andava cambiando ma, lenta come sempre, impiegಠtroppo tempo a svoltare: poichà© a poco serviva l’infelice Trattato di Nizza; l’UE, con più coraggio, ci provಠcon il progetto di Costituzione europea destinata a rafforzare la coesione dei suoi Stati membri che nel frattempo erano quasi raddoppiati di numero (dai 15 del 1995 ai 27 di oggi) e a consolidare le sue regole democratiche minacciate dall’ondata di paura e di tensioni prodotta dalle aggressioni non solo di New York, ma anche di Madrid e Londra.
Purtroppo il progetto di Costituzione venne rifiutato da Francia e Paesi Bassi, rendendo necessari ulteriori logoranti negoziati per giungere all’adozione di un nuovo Trattato, quello di Lisbona entrato in vigore solo a fine 2009, a sua volta in ritardo sull’evolversi degli eventi e a tutt’oggi ancora largamente insufficiente.
àƒÆ’à¢â‚¬° cronaca dei giorni scorsi il prezzo che alla crisi in corso stanno pagando gli USA – e il suo Presidente nel quale tante speranze erano state riposte nel mondo – e l’Europa priva di un Presidente in grado di guidarla nel mondo tormentato in cui viviamo, rafforzandone la solidarietà   contro le spinte nazionaliste di piccoli e grandi Paesi che compongono l’UE.
In tale scenario, consegnatoci da questo movimentato decennio, riaccendono la speranza i sussulti di democrazia in provenienza dall’immediata periferia dell’Europa, dove focolai di libertà   si sono accesi in Tunisia e in Egitto e hanno innescato una miccia «lunga» che ha già   dato fuoco alla Libia e alla Siria e probabilmente non si fermerà   lì.
Puಠsembrare paradossale, ma viene da pensare che questo decennio, nel male e nel bene, sia stato fortemente segnato da movimenti del mondo islamico: contro la democrazia e le sue regole da Bin Laden e dall’islam integralista, per la democrazia e i suoi sviluppi nei Paesi dell’area mediterranea.
Con l’Occidente colto di sorpresa, gli USA in crescente difficoltà  , l’Asia più forte economicamente e politicamente e l’Europa attonita a guardare un mondo che ha ormai alle spalle senza bene sapere come affrontare quello nuovo che avanza.

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