Mentre da noi si sono spenti gli ultimi fuochi sulla tornata elettorale da poco conclusa e continuano a fare scintille i vizi privati di politici senza particolari pubbliche virtù, non accenna a spegnersi l’incendio sviluppatosi in Iran con le recente contestata elezione presidenziale di Ahmadinejad.
Quello che sta accadendo in Iran continua a meritare tutta la nostra attenzione: non solo perchà© si tratta di un grande Paese da noi non lontano e vicinissimo a Paesi ad alta instabilità come Iraq, Afghanistan e Pakistan con i quali confina, ma più ancora per quello che rappresenta per l’evoluzione del mondo islamico, per gli sviluppi del conflitto israelo-palestinese e, di conseguenza, per la stabilità della regione mediterranea.
La quale, per chi se ne fosse dimenticato, è anche la nostra regione.
àƒÆ’à¢â‚¬° normale quindi che quanto accade in Iran sia fonte di preoccupazione non solo per l’Europa e i vicini Paesi arabi, ma per il mondo intero dagli USA alla Cina.
Sono molti i Paesi che hanno nei confronti dell’Iran robusti interessi economici ma anche un contenzioso politico a proposito del programma nucleare iraniano che nessuno è sicuro possa limitarsi al suo impiego civile. Il timore di una sua utilizzazione militare non lascia dormire sonni tranquilli in un’area dove dispongono dell’arma nucleare Israele, Pakistan e India e questo proprio mentre la Corea del nord continua a brandire la minaccia atomica che ha finito per inquietare anche la Cina.
Su questo sfondo di instabilità , la vicenda elettorale iraniana interroga ancora una volta il mondo sui valori della democrazia insieme con il rispetto delle sovranità nazionali.
Sono fondati i dubbi sulla correttezza del processo democratico iraniano non solo per le pratiche di brogli elettorali ma anche e, forse soprattutto, per la problematica compatibilità tra una democrazia formale e una teocrazia sostanziale che costituisce ovunque una pesante ipoteca per la libertà e la tolleranza.
In Iran tutti gli aspiranti alla presidenza – da Ahmadinejad al suo principale avversario Mousavi – hanno dovuto fare i conti con questo intreccio alla lunga insostenibile. Sembra che il primo abbia goduto dei favori delle popolazioni più povere delle zone interne rurali e il secondo delle à©lites urbane e delle giovani generazioni, in particolare femminili. Sul dubbio successo del primo ha pesato la sponsorizzazione teocratica della guida suprema Khamenei, che così ha anche perso il suo ruolo di arbitro, mentre ha sorretto la resistenza del secondo la grande mobilitazione delle città e una cauta apertura internazionale attenta a non prestare il fianco ad accuse di ingerenza.
Ed è proprio questo il dilemma che si trovano di fronte le democrazie occidentali dall’Europa agli USA: da una parte rispettare e far rispettare la volontà popolare iraniana e dall’altra sperare nel successo di interlocutori aperti al dialogo, senza comunque illudersi che un’eventuale rimozione di Ahmaninejad conduca ad intese in tempi brevi o a repentine retromarce del potere iraniano.
Sull’atteggiamento da tenere si interroga la nuova amministrazione USA per capire quando la mano tesa di Barak Obama, con il suo recente discorso del Cairo, non debba chiudersi a pugno senza giungere – e sarebbe una tragedia – a stringere la pistola che il predecessore George Bush jr teneva a portata di mano per l’Iran e che Israele vedrebbe bene caricata non a salve.
Anche l’Europa si sta interrogando sul da farsi. Dopo aver espresso educatamente le proprie preoccupazioni nel Consiglio Europeo di Bruxelles, non ha rincarato di molto la dose dopo il contestato esito elettorale iraniano, limitandosi ad auspicare un dialogo democratico e pacifico e rispedendo al mittente le accuse su pretese interferenze europee.
Velleitario e prudente ad un tempo il governo italiano in tutt’altre faccende affaccendato e attento a proteggere i propri interessi economici, in particolare nel settore energetico. Così anche nel recente incontro del G8 a Trieste è prevalsa ancora una volta la «ragion di Stato» sul diritto alla libertà e sui valori della democrazia.
Farebbe tuttavia bene la Guida suprema iraniana, e chi fosse tentato di imitarlo, a riflettere su quanto ebbe a dire Abraham Lincoln: «Si puಠingannare una parte del popolo sempre, tutto il popolo per un certo periodo di tempo, ma non si puಠingannare tutto il popolo sempre». Perchà© non paga la cultura della bugia così largamente praticata e non solo nella politica internazionale. Bisognerà pure un giorno accogliere il monito del Cardinale Carlo Maria Martini sul «Corriere della sera» di domenica scorsa: «Forse occorre penetrare nel significato profondo della menzogna, come peccato originario, vero cancro delle comunità e della società . Ne facciamo esperienza anche in questi giorni».
Ci pensino seriamente quanti si propongono, anche da noi, di chiudere la bocca alla libera informazione, minacciando rappresaglie e aggredendo quanti dissentono: perchà© è solo questione di tempo e la sanzione arriva. Forse prima del previsto dove la democrazia è ancora viva, forse con più ritardo nella repubblica islamica iraniana dove un processo irreversibile verso il cambiamento è probabilmente già cominciato.
àƒÆ’à¢â‚¬° bene che ci riflettano tutti, in Iran e altrove nel mondo.
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