I “minerali critici” e le sfide del futuro

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Se fino ad ora l’accesso a petrolio e gas ha costituito un ingrediente essenziale delle relazioni internazionali e dei rapporti economici e commerciali fra gli Stati, le moderne transizioni energetica e tecnologica portano oggi sotto i riflettori altri prodotti di vitale importanza per la geopolitica e la geoeconomia del XXI secolo. Si tratta in particolare dei famosi “minerali critici”, ovvero le terre rare e altri minerali quali il rame, il nichel, il litio o il cobalto. Per terre rare si intende l’insieme di 17 elementi chimici della tavola periodica classificati come metalli, e dove la rarità consiste soprattutto nella difficoltà di estrazione.

A titolo di esempio, la maggior parte degli elementi che compongono le terre rare e altri minerali, sono indispensabili per l’elettronica, dai chip dei semiconduttori, ai computer e agli smartphone. Sono essenziali nel settore aerospaziale e della difesa, ma anche nel settore medico per la cura dei tumori. Ma oltre all’elettronica, si fanno sempre più esigenti le richieste provenienti dal settore energetico, esigenze che rispondono in particolare agli obiettivi di transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, ovvero produzione di turbine eoliche, pannelli fotovoltaici, macchine elettriche, batterie, magneti permanenti.

Secondo un recente studio dell’Agenzia internazionale dell’Energia, la richiesta mondiale di questi minerali aumenterà in modo esponenziale nei prossimi anni. Precisa infatti l’Agenzia che per costruire un campo eolico onshore serve una quantità di minerali nove volte superiore rispetto a una centrale elettrica alimentata a gas mentre per costruire una macchina elettrica serve una quantità di minerali sei volte superiore rispetto a un’auto tradizionale. Se si fa riferimento allo scenario delineato nell’Accordo di Parigi sulla decarbonizzazione e sullo sviluppo di tecnologie pulite, la richiesta di minerali nei prossimi vent’anni salirà del 40% per il rame e le terre rare, del 60-70% per il nickel e il cobalto e più del 90% per il litio. Una prospettiva che interroga immediatamente sugli ostacoli possibili per raggiungere gli obiettivi del Green Deal europeo.

A questo punto è importante segnalare che la Cina, oggi, domina fortemente il mercato delle terre rare e dei minerali critici, con percentuali che svelano tutta la complessità e la centralità di Pechino nella catena di approvvigionamento mondiale, con tutto quello che ciò comporta in termini di dipendenza delle maggiori economie mondiali, Stati Uniti e Unione Europea in primis (dipendenti dalle importazioni cinesi rispettivamente per l’80% e per il 98%). La Cina infatti produce circa il 60% delle terre rare mondiali, oltre a processare e raffinare più dell’80% delle stesse. 

La ricerca di altre fonti di approvvigionamento per ridurre la dipendenza cinese ha messo soprattutto in evidenza la ricchezza non ancora sfruttata dell’Africa e il suo potenziale futuro ruolo produttivo. Particolarmente ricchi di terre rare i Paesi dell’Africa orientale e meridionale, mentre la Repubblica Democratica del Congo produce più del 70% del cobalto a livello mondiale, minerale usato principalmente nella produzione di batterie al litio. 

In questo contesto è facile intuire quanto il controllo delle materie prime necessarie allo sviluppo delle tecnologie e alla transizione energetica sia di vitale importanza e quanto l’accesso a tali materie peserà sulla geopolitica del secolo in cui viviamo. 

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