Greta, l’Europa e l’emergenza climatica

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Non è da ieri che l’Unione Europea ha mostrato attenzione al tema dell’ambiente, anche se oggi sono in molti a dire che non ha fatto abbastanza.

A dare ragione a chi critica l’UE è il degrado del pianeta che continua a ritmi preoccupanti, generando un’emergenza climatica da tempo denunciata da ripetuti rapporti scientifici e riportata all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale dal movimento lanciato da Greta con impressionanti mobilitazioni di giovani e non solo.

Sul tema non è inutile provare a fissare qualche punto chiaro nel tentativo di valutare realisticamente le prospettive di soluzione di un problema sempre più drammatico.

L’Europa è stata per lunghi anni, dal 1800 in poi, la prima potenza industriale del mondo, raggiunta e superata solo recentemente dagli Stati Uniti e dalla crescente capacità industriale asiatica. Significa che le sue responsabilità nel fenomeno, non di ieri, del surriscaldamento climatico sono innegabili e non consola che in queste responsabilità sia stata da tempo ampiamente superata dalle nuove potenze industriali.

Analoga osservazione vale per l’ampio uso fatto dall’Europa di energie fossili, in parte presenti sul suo territorio e, più recentemente, non lontano dai suoi confini.

Sarebbe però improprio dimenticare che, nella lotta per la salvaguardia dell’ambiente, l’Europa ha guadagnato molte lunghezze di vantaggio rispetto alle altre potenze industriali con le quali è in competizione.

È dai primi anni ‘70 che l’allora Comunità europea ha considerato necessaria una politica ambientale comune, definendola con il Trattato di Maastricht del 1992 una competenza comunitaria e, come tale, sottoposta alla procedura di codecisione insieme al Parlamento europeo con misure adottabili a maggioranza. Una decisione e una procedura che hanno consentito negli anni l’adozione di centinaia di misure di protezione ambientale.

Nè bisogna dimenticare che in una materia come questa l’UE è presa in tenaglia tra la resistenza dei suoi Paesi membri a dare piena applicazione alle misure adottate a Bruxelles ( e qui l’Italia ne sa qualcosa) e la competizione economica mondiale, dove la concorrenza internazionale mette a dura prova chi adotta vincoli non rispettati dagli altri Paesi industriali.

Ne è stata un esempio molto chiaro la Conferenza ONU sul clima del 2015 a Parigi dove è stato difficile convenire una soglia da non superare nel riscaldamento climatico, con Paesi che non hanno sottoscritto l’Accordo e altri, come gli USA di Trump, che lo hanno poco dopo disdetto.

Fin qui la storia recente che registra buoni,anche se ancora insufficienti, progressi dell’UE su questo fronte. La gravità della situazione obbliga però adesso a guardare avanti e ad accelerare con misure nuove e più radicali. È quanto l’UE e i suoi Paesi membri si stanno apprestando a fare.

La lotta all’emergenza climatica è stata chiaramente annunciata come una assoluta priorità da parte della futura Commissione europea: ne sapremo di più quando a novembre conosceremo il nuovo programma per la legislatura 2019-2024 e, anche più concretamente, quando l’anno prossimo verranno adottate le Prospettive finanziarie 2021-2027 che diranno quali risorse saranno destinate dall’UE alle politiche ambientali.

Perché non sfugge a nessuno che politiche ambientali appena serie avranno costi molto alti, oltre ad esigere nuovi comportamenti di tutti nella vita di ogni giorno.

Che i costi siano alti ne sa qualcosa la Germania che, potendoselo permettere, ha appena deciso di destinare a queste politiche 100 miliardi di euro di qui al 2030.

Si muoverà probabilmente in questa direzione anche la prossima legge di bilancio italiana con un “Patto per l’ambiente “, nei limiti di risorse incomparabilmente più scarse di quelle tedesche (e qui il peso del debito pubblico si farà sentire), ma anche nella speranza che l’UE conceda maggiore flessibilità all’Italia sul superamento del deficit se investirà anch’essa in misure di “economia verde”. Senza dimenticare che nell’UE l’Italia è già la prima “economia circolare” con crescenti capacità di riciclo dei prodotti in circolazione.

La scadenza ravvicinata di un disastro imminente per il pianeta denunciato da Greta sta smuovendo la politica mondiale, non tutta purtroppo: non bastano le buone parole dell’Onu, pesano molto di più le misure concrete dei governi.

Molto meglio quanto sta cercando di accelerare l’Europa di quanto frena irresponsabilmente Donald Trump, ma questo non può confortare Greta e bastarle: anche l’Europa deve fare molto di più, cominciando col rivedere il suo sempre più insostenibile modello di sviluppo.

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