Gran Bretagna, sempre più isola

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Tanto tuonò che piovve. Nel suo intervento ai Comuni il 23 gennaio, dopo molti rinvii, il premier britannico David Cameron ha passato la Manica, il suo Rubicone, naturalmente in senso contrario: dal continente che, nonostante le sue dimensioni sempre più ampie, gli sta stretto verso un’isola che fu grande al tempo dell’impero e ancora con il Commonwealth britannico, ma che adesso rischia addirittura secessioni al suo interno.

Dopo una lunga anticamera, la Gran Bretagna entrò nell’allora Comunità Economica Europea (CEE) nel 1973, in compagnia di Irlanda e Danimarca, uscendo da un’esangue Associazione Europea di Libero Scambio (EFTA), che avrebbero poi abbandonato tutti gli altri Paesi, ad eccezione della Norvegia, per entrare nella CEE.

Adesso le lancette dell’orologio sembrano tornare indietro, ma in un contesto del tutto diverso. Non solo perché poco resta dell’epoca imperiale e dell’EFTA, ma perché nel frattempo molto più grande è diventata la CEE di allora, l’attuale Unione Europea con 27 Paesi (28 a luglio con l’arrivo della Croazia) e il suo oltre mezzo miliardo di abitanti, prima potenza commerciale del mondo.

Allora, perché questa prospettiva di secessione della Gran Bretagna, se il referendum promesso da David Cameron entro il 2017 dovesse registrare una maggioranza di britannici contrari alla permanenza inglese nell’UE?

Resta densa la nebbia sulla Manica e molte potrebbero essere le risposte. Intanto bisognerebbe capire se davvero questo referendum si farà: non è un caso che Cameron lo abbia vincolato alla vittoria del partito conservatore nelle elezioni del 2015, un risultato tutt’altro che scontato. E già questo svela che molto di questa decisione mira a ricompattare il partito conservatore e la sua ala destra, in competizione con il Partito dell’indipendenza, ultra-nazionalista.

Neppure è un caso l’intervento di Cameron alla vigilia del difficile negoziato sul “Quadro finanziario 2014-2020”  dell’UE, nel quale la Gran Bretagna punta a mantenere i privilegi britannici, strappati dalla Thatcher inizio anni ’80, e a ridurre la dotazione finanziaria e la solidarietà europea.

E fin qui sarebbe solo tattica, nemmeno di grande qualità. La cosa si fa più seria se l’intervento di Cameron si colloca nel nuovo contesto europeo e in particolare nelle dinamiche che si vanno manifestando nell’eurozona in favore di una maggiore integrazione economica e, a termine, politica. Una prospettiva che allarma il mondo conservatore inglese, arroccato su dogmi ormai fuori dal tempo: supremazia delle istituzioni nazionali, sovranità e libero mercato, con il corollario del rifiuto dello Stato-provvidenza.

Che cosa aspettarci? Probabilmente l’antico mestiere della diplomazia inglese: resistere e ritardare nuovi sviluppi dell’integrazione europea senza rinunciare ai vantaggi del grande mercato, cercando alleanze nei Paesi dell’Europa settentrionale e orientale. Un gioco che Bruxelles e gli altri Paesi UE  conoscono bene e che stavolta potrebbe inceppare il disegno britannico. I primi segnali già sono arrivati dai Presidenti del Parlamento europeo e della Commissione e da Germania e Francia, mentre Olanda e Svezia sembrano smarcarsi dalla tattica britannica.

E l’Italia? Il premier-candidato ha il suo bel da fare per cercare consenso elettorale, sciabolando a destra e a sinistra, irritato per le critiche dell’amico “Financial Times” e trattenuto dalla sua cultura liberista, non tanto distante da quella di Cameron. Scomparso dagli schermi, se mai si fosse visto, il ministro degli esteri Terzi, è intervenuto il suo predecessore, Frattini, con una dichiarazione in puro stile cerchio-bottista, auspicando “che gli inglesi decidano di restare nell’UE, ma tutto dipende dalla capacità dei leader d’Europa per portare avanti misure coraggiose”. Non poteva dire di più uno che è candidato a diventare segretario generale della NATO.

Molto di più ci aspettiamo invece dal centro-sinistra se è vero, come dice, di volere un’Unione politica, nel segno della solidarietà, un progetto incompatibile con il liberismo di Cameron.

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